La voce di un’altra vittima


Dopo una lettera pubblicata da Repubblica ill 16 settembre 2000, questo è (che io sappia) l’unico altro caso del genere di cui sia stata data notizia in un “grande” mezzo di informazione. Un’intervista pubblicata nell’edizione online dello stesso giornale il 28 ottobre 2000.

Per una (discutibilissima) “scelta editoriale” Repubblica, come altri giornali, non rende più disponibile il suo archivio online ma cancella tutto dopo 15 giorni. Se è ancora possibile leggere questo testo è perché altri l’hanno conservato in rete (oltre che in questo sito, si trova, per esempio, negli archivi del newsgroup it-politica del 31 ottobre 2000). Devo confessare che quell’intervista mi era sfuggita e che non l’avrei mai trovata se una gentile e attenta lettrice non mi avesse segnalato, alla fine di gennaio 2001, la citazione nel newsgroup. Le vie della rete sono infinite...

Mentre sono pochissime le vicende di cui si è data pubblicamente notizia, sono molti i casi reali di imperdonabili malversazioni nei confronti di persone totalmente innocenti o (come in questo caso) responsabili solo di una leggerezza che può essere discutibile e criticabile ma non giustifica le persecuzioni cui il “colpevole” è stato sottoposto. Sembra impossibile sapere quanti (le notizie sull’estensione di queste indagini sono confuse e contraddittorie) ma sono centinaia (anzi probabilmente migliaia, se si considerano anche i casi di “distruzione morale” di persone ingiustamente sospettate che non sono neppure state oggetto di un’indagine giudiziaria). Comunque è “sintomatico” che tutte le vittime nascondano la loro identità perchè sono terrorizzate dal clima di “caccia alle streghe” che circonda sempre questo genere di inchieste.




Parla il padre di un giovane arrestato per “pedofilia”

Torre Annunziata – 28 ottobre 2000

«Vuol sapere gli effetti sulla vita di mio figlio dell’arresto e di quelle accuse? A parte il morale che è crollato, le basti sapere che ha perso il lavoro. Fortuna che nessuno crede che il mio ragazzo è un pedofilo».

Parla il padre di uno dei sei giovani che un mese fa finirono a Poggioreale per l’inchiesta sulla pedofilia via internet. Suo figlio, agli arresti domiciliari, non può rispondere direttamente alle domande, lo fa lui, insegnante di diritto in un istituto commerciale non distante da Grosseto. Unica richiesta: l’anonimato. “Per non rovinare definitivamente il mio ragazzo”.

Lei vive in Toscana, in un piccolo centro, come giudicano suo figlio dopo l’arresto e la scarcerazione?

«C’era il rischio del linciaggio, la sindrome del mostro poteva colpire qualcuno. Per fortuna non è accaduto. Anzi, abbiamo avuto tanta solidarietà. Segno che nessuno pensa davvero che sia un disgraziato, un deviato o peggio. Pure la sua ragazza, addoloratissima, gli scrive, non fa venir meno il suo affetto».

Finiti gli arresti in casa, tornerà al lavoro?

«Lui è un perito informatico. Lavorava in una Asl. Purtroppo questo posto può anche dimenticarselo. Il direttore generale mi ha spiegato, con molta umanità che io ho apprezzato, come, per prudenza, per questione di mera opportunità, sia bene che lui si trovi un altro posto. Purtroppo ha fatto una stupidaggine e dovrà conviverci, il mio ragazzo».

Una stupidaggine?

«Già perché lui, giovane normalissimo, si è fatto mandare, via internet, senza pagare una lira, foto pornografiche e, fra queste, alcune anche di minorenni. Non quelle terribili, ma pur sempre di minori. Lo ha fatto per imbecillità, leggerezza e curiosità. Ed è finito in galera. Prima in isolamento. Poi in una cella con quattro detenuti. Che, non sembri un paradosso, si sono dimostrati persone perbene, sostenendolo psicologicamente. Mentre qualche guardia lo ha provocato. Con spintoni e pacche violente sulle spalle. Una brutta esperienza».

E ora?

«Ora mio figlio è spaventato dalla giustizia: “vogliono fregarmi, ma io non sono un mostro” ripete. Abbiamo deciso di non patteggiare ma di andare al rito abbreviato».




Probabilmente non sapremo mai come si è conclusa la vicenda giudiziaria di quel giovane. Nei (pochi) altri casi su cui si hanno informazioni precise (anche se non pubbliche e, per doverosa riservatezza, non pubblicabili) ci sono state assoluzioni o condanne “miti” – non per clemenza dei giudici, ma per inconsistenza delle accuse. Ma i danni alle persone e alle famiglie (dalla perdita del lavoro al “linciaggio” morale e sociale) sono stati spesso più gravi che nel caso citato in questa intervista. Mentre le varie “ondate” di indagini si sono rivelate disastrosamente inefficaci nella ricerca dei veri colpevoli (vedi Dalla parte dell’Inquisitore).

Giancarlo Livraghi – gian@gandalf.it – 3 febbraio 2001




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