Il filo
di Arianna
Giancarlo Livraghi
Disponibile anche in
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(migliore come testo stampabile)
Perché è così difficile
dire la verità?
Questo si può considerare (in parte) un supplemento a
La stupidità della pubblicità.
E (più precisamente) ad alcuni capitoli di Il potere della stupidità
(per esempio Stupidi e furbi e Il circolo vizioso della stupidità).
Ma la prospettiva è più ampia. Sono infinite le situazioni in cui
si dicono le bugie o comunque le informazioni e le opinioni sono distorte.
Ci sono (e non sono pochi) bugiardi così bugiardi che finiscono col credere alle loro bugie. Come ci sono persone che credono di essere sincere, ma senza rendersene conto ripetono panzane altrui o dicono, con infondata certezza, cose di cui non hanno unadeguata conoscenza.
Si dice che le bugie hanno le gambe corte. Può essere vero, per quelle che è facile controllare. Ma ce ne sono tante che hanno gli stivali delle sette leghe e circolano indisturbate per anni (non sono poche quelle che imperversano da millenni).
Qui dobbiamo, almeno per un momento, mettere da parte il (fondamentale) concetto filosofico che la verità assoluta non esiste. Accontentiamoci di ciò che possiamo ragionevolmente considerare vero. Unenorme quantità di ciò che si dice e si scrive non rientra neppure in questa minima definizione. E non sempre è facile capire perché.
Cè chi è bugiardo di professione. Imbroglioni, venditori di fumo o di patacche, fabbricatori di pettegolezzi, manipolatori dellinformazione. Lo sono spesso i politici, per motivi elettorali o anche solo per abitudine. Personaggi più o meno noti (o che sperano di diventarlo) per arroganza, presunzione, vanteria o illusione di essere divertenti. Ogni sorta di opinionisti, tuttologi, presunti esperti, scribacchini e chiacchieroni (talvolta lautamente pagati per dissertare su cose che non sanno).
Ma cè chi mente per il gusto di mentire. Per vantarsi o farsi bello. Per cercare di sedurre, o stupire, o rendersi interessante. Per offrire consigli non richiesti. Per fingere competenze che non ha. Per nascondere o travestire ciò che non vuol far sapere. Per il gusto (spesso sgradevole) del pettegolezzo. Per nuocere a un avversario o a qualcuno che gli è antipatico. Per vedere quanti e come ci cascano. O anche solo per abitudine.
Quando è uno scherzo, o un pesce daprile, se rimane in quei limiti può essere divertente. Anche educativo, se serve a dimostrare come le più incredibili panzane possano avere una sorprendente diffusione. Ma (come dimostrano alcune leggende metropolitane) può accadere che una scempiaggine detta per scherzo cresca come un incontrollabile parassita e finisca con lessere accettata come verità anche se non era quella lintenzione di chi si era divertito a inventarla.
Loccasione per questo ragionamento non è qualche bufala pubblicata nei giornali o trasmessa in televisione o circolante nellinternet. (Di quelle ne incontro ogni giorno più di quanto è umanamente sopportabile). Lo spunto che mi porta a ripensarci è un recente articolo (7 febbraio) di un autore che ho spesso citato e a cui, di nuovo, mi ispiro volentieri. Gerry McGovern The customer CAN handle the truth (che si può tradurre, pressappoco, Il cliente SA capire la verità).
Cita alcuni esempi (da cui risulta che certe stupidaggini non succedono solo in Italia). «Sarebbe ora dice che venditori e comunicatori smettessero di trattare i loro clienti come bambini e cominciassero a trattarli come adulti intelligenti».
(Mentire ai bambini non è una buona idea. Oltre a confonderli,
serve anche a farli diventare diffidenti e bugiardi.
Ma quello è un altro anche se importante discorso).Nel suo articolo Gerry McGovern prende in giro, giustamente, Google per unarzigogolata dichiarazione di settantasei parole con cui spiegano una cosa che si poteva dire meglio in dieci e soprattutto presentano come sofisticato miglioramento nel servizio ai clienti una riduzione di qualità tecnica fatta per comodità loro. Tuttaltro che comunicazione efficace, da parte di unimpresa che si considera specializzata in quel campo.
E altrettanto giustamente, con una serie di altri esempi, critica la proliferazione di sistemi automatizzati (per telefono, per e-mail o anche negli uffici informazioni) che promettono di offrire un servizio migliore mentre fanno il contrario. Un comportamento esasperante diffuso da parecchi anni che, invece di correggersi, continua a imperversare. Con lirritante finzione di proporsi come innovazioni tecniche o customer care mentre sono riduzioni di servizio, fatte per spendere meno e per ridurre i disturbi o marchingegni burocratici per evitare di spiegarsi in modo comprensibile.
Ma Gerry cita anche altri fatti, non influenzati direttamente dalle tecnologie dellinformazione. Come un ascensore guasto in un albergo (così bisogna fare le scale a piedi con le valige) presentato come siamo lieti di annunciare che stiamo ristrutturando per un miglior servizio ai nostri ospiti. O una casa in vendita, presentata come deliziosamente tradizionale, mentre alla resa dei conti si rivela che l unica cosa da fare è demolirla e ricostruirla daccapo. Eccetera...Un fatto abbastanza evidente, se si osserva con un po di attenzione, è che quando cè qualità reale basta esporre semplicemente i fatti quando non cè abbondano gli aggettivi, gli orpelli, i travestimenti. Ma labitudine è così diffusa che si ricorre a quei miserandi trucchi anche quando non ce nè alcun bisogno. Con lunico risultato di aumentare la confusione e la diffidenza.
Gli anni passano, il fastidio aumenta, la perversa tendenza continua. A tal punto che i falsi salamelecchi interferiscono anche quando non cè una consapevole intenzione di mascherare un peggioramento o una mancanza di qualità. Cioè quei comportamenti, oltre che bugiardi, sono anche stupidi.
Così conclude Gerry McGovern «Ecco unidea radicale: dite la verità». Ma sembra che stia diventando sempre più difficile. Bugie e travestimenti sono unabitudine, un modo di essere, un riflesso condizionato.
Non si tratta solo di situazioni commerciali. In tutte le forme di informazione e comunicazione imperversano le bugie (e le sciocchezze) togliendo spazio e respiro a tutto ciò che può essere unattendibile verità o almeno uno stimolo a cercare di capire meglio.
Uno dei problemi è la pretesa che tutti debbano (o possano) avere unopinione su tutto. E molto più chiaro dire non lo so. O almeno cercare di informarsi prima di dire (o riferire) sciocchezze.
Uno dei motivi per cui non dico bugie è che sarei costretto a ricordarle cosa fastidiosamente faticosa. Ma cè chi se la cava con sfacciata disinvoltura. Non ho mai detto così, sei tu che ti sbagli. (O, viceversa, si ostina ad attribuirci opinioni che non abbiamo mai avuto o affermazioni che non abbiamo mai fatto).
Le menzogne (o gli errori di comprensione) hanno una pericolosa tendenza a moltiplicarsi. Perché per sostenerne una occorre inventarne unaltra. O perché circolando si deformano, assumono aspetti e significati diversi. Non è raro che una cosa, sensata e credibile in un contesto, diventi assurda quando migra altrove.
Dobbiamo mentire per cortesia? Qualche volta, forse, può essere necessario. Ma le autentiche buone maniere non si nutrono di falsità. Ci sono molti modi per dire la verità senza essere offensivi. E cè più amicizia in una critica sincera che in un falso complimento.
Ci sono bugie sincere? Qualcuna si. Se un innamorato dice alla sua amata farò di te la donna più felice del mondo (o viceversa) è poco probabile che possa essere letteralmente vero (anche perché non cè alcuno strumento per misurare la felicità di tutte le persone del mondo). Ma se è unintenzione profonda e appassionata ha un autentico valore sia che duri per tutta la vita o solo per un magico momento. Questa non è menzogna, è poesia.
Ci vuole coraggio, per dire la verità? Talvolta si. Ma mentire è quasi sempre una vigliaccheria. E anche tacere, se è per opportunismo, può essere riprovevole.
Non occorre essere aggressivi, né polemici o insultanti. Spesso una verità, grande o piccola, si afferma meglio con pacata chiarezza. Ed è opportuno essere pronti a cambiare idea, o a correggere le nostre percezioni, quando cè un buon motivo per farlo.
Non cè dialogo quando ognuno è arroccato sulla sua posizione. È sempre importante saper ascoltare anche quando ciò che sentiamo dire è (o ci sembra) sciocco. Come diceva Catone. «I saggi imparano di più dagli stupidi che gli stupidi dai saggi».
Se altri capiscono le nostre verità, meglio per tutti. Ma se solo noi impariamo dalle verità (o falsità) degli altri siamo noi, non gli altri, a uscire arricchiti da quellesperienza. Anche nel caso che ciò che ne abbiamo ottenuto sia solo un dubbio. (Lo diceva bene Voltaire. «Il dubbio è scomodo, la certezza è ridicola». E Bertrand Russell. «Il problema del mondo è che gli stupidi sono troppo sicuri e gli intelligenti sono pieni di dubbi»).
Silvio Ceccato usava spiegarlo così. «Se tu mi dai una moneta e io ti do una moneta, ognuno di noi ha una moneta. Se io ti do unidea e tu mi dai unidea, ognuno di noi ha due idee». Ma purtroppo da molti dialoghi si esce senza alcun arricchimento (o impoveriti da chiacchiere insulse che ci hanno confuso le idee).
Cercare e affermare la verità non vuol dire credere che sia incisa nel marmo. Né restare ciecamente ancorati a ciò che crediamo di sapere. Non si finisce mai di imparare. Ma per arricchire davvero le nostre conoscenze, e avere utili scambi di opinione, occorre togliere di mezzo le bugie, i pregiudizi, i preconcetti, le mezze verità e la sciocca convinzione che qualcosa sia vero solo perché lo sentiamo continuamente ripetere.
Tutto questo è ovvio? Sarei felice se lo fosse o se lo diventasse finalmente rendendo inutili e superate osservazioni come quelle che sto scrivendo. Ma così, purtroppo, non è. E, anche in quel caso, non potremmo smettere di stare in guardia. Perché le bugie (come la stupidità) hanno uninsidiosa capacità di riprodursi sotto mentite spoglie e di riproporsi con ogni genere di travestimenti.
Insomma proviamo a dire più spesso la verità. E soprattutto a cercarla, nel marasma di panzane, pressapochismi, consapevoli inganni o superficiali errori, in cui siamo quotidianamente sommersi.
È difficile? Meno di quanto sembra. Con un po di esercizio può diventare una sana abitudine. E come ogni buona ginnastica mentale spesso è divertente.