labirinto
Il filo di Arianna


luglio 2007

Giancarlo Livraghi – gian@gandalf.it


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La “legge di Sturgeon”



La cosiddetta Sturgeon’s Law è così proverbiale da essere citata nei dizionari della lingua inglese. In realtà non è una “legge”, ma un modo di dire. Può sembrare banale, ma credo che meriti qualche commento. Come altre che ho citato in diverse occasioni.

Per esempio il Rasoio di Hanlon (vedi il primo degli articoli online sul potere della stupidità e il primo capitolo del libro), la proverbiale Legge di Murphy, le Leggi di Carlo Cipolla sulla stupidità, la Legge di Parkinson e il Principio di Peter su perché le cose non funzionano (vedi Le grandi leggi: Murphy, Parkinson, Peter e Cipolla – e i capitoli 4, 5, 6 e 7 di Il potere della stupidità).

L’affermazione è così semplice che può sembrare scontata. “Il novanta per cento di tutto è spazzatura” (La parola crud, cioè pressappoco “spazzatura”, è spesso sostituita da altre facilmente immaginabili, ma il concetto non cambia – tanto vale accettare il testo nella forma “meno volgare” che si trova nell’Oxford Dictionary). L’autore è Theodore Sturgeon, che pubblicò quell’affermazione nel 1951 (e poi ne diede interpretazioni e spiegazioni, allargandone il significato, negli anni successivi).

Mi scuso per questa annotazione cretina, ma visti gli errori diffusi nell’interpretazione di parole inglesi... forse è opportuno ricordare che non si tratta di ittica, né di caviale. Non è la “legge dello storione”.

Per capire il senso dell’osservazione occorre risalire alla sua origine. Theodore Sturgeon, all’inizio, non parlava di “tutto” in generale. Come autore di science fiction, reagiva all’affermazione diffusa che “la fantascienza è spazzatura”. Disse: «è vero nel novanta per cento dei casi, ma il dieci per cento è tutt’altra cosa». Naturalmente la cifra è arbitraria: non c’è alcun modo di misurare se la parte valida di un genere letterario è il dieci, il venti, il cinque o l’uno per cento. (Infatti in alcune varianti, fra le molte citazioni di questo concetto, il numero cambia – e talvolta sale a 94 o 98 per cento). Ma è vero che nel vasto mondo delle “ipotesi del possibile” (cioè nella cosiddetta “fantascienza”, ma anche in ogni altro genere di letteratura basata su ipotesi scientifiche) ci sono molti lavori di scarso valore e alcuni straordinariamente interessanti.

Dal caso specifico della science fiction il concetto si allargò quasi subito alla letteratura in generale e a ogni sorta di “opera dell’ingegno”. Cioè non si tratta di oggetti o prodotti in generale, ma di arte, letteratura, informazione. Di tutto ciò che leggiamo, vediamo e ascoltiamo, gran parte è, in un modo o nell’altro, “spazzatura”. Lo è anche una parte preoccupante della presunta divulgazione scientifica – e spesso lo sono i numeri che ci vengono propinati con il loro insidioso bagaglio di “false certezze”. (Vedi Mentire con le statistiche).

Il problema c’è sempre stato. Da che mondo è mondo, si sono dette, scritte e diffuse più sciocchezze che cose interessanti. Si sono prodotti più quadri e sculture di quanti meritino di essere esposti nei musei. Eccetera. Se un oggetto o un testo di diecimila anni fa merita comunque di essere conservato, per la sua rarità e perché è la testimonianza di un’epoca, ciò non vuol dire che sia un capolavoro o un riferimento importante per la nostra cultura.

È sempre stato vero che nessuna notizia o informazione può essere “presa per vera” senza un’opportuna verifica – e che panzane insostenibili possono avere enorme diffusione. È sempre stato altrettanto vero che, troppo spesso, le affermazioni più diffuse non sono le più attendibili. Ma nella situazione di oggi il problema assume un aspetto particolare, per l’enorme abbondanza delle risorse disponibili. E per questo è rilevante, nella sua apparente semplicità, la “Legge di Sturgeon”.

Ci sono state molte situazioni nella storia (e purtroppo ce ne sono anche oggi) di culture chiuse, conoscenze imposte, ignoranza obbligatoria. Possono esserci opinioni diverse su quanto di ciò che è “dettato” da autorità insindacabili sia “spazzatura”, o forse in parte no... ma è ovvio che l’informazione e la cultura migliorano molto in condizioni di libertà.

Tuttavia, purtroppo, non è vero che la libertà di espressione e di informazione sia una garanzia assoluta. È una “condizione necessaria ma non sufficiente”. Ci vorrebbe un senso di maggiore responsabilità da parte di chi gestisce, diffonde e commenta le informazioni. E più rispetto per il “pubblico”, che troppi considerano irrimediabilmente stupido (vedi Il circolo vizioso della stupidità).

Ma soprattutto è necessario che si diffonda, fra chi legge o ascolta, una maggiore capacità critica. L’impresa non è facile, ma se fosse ripetuto abbastanza spesso che saper ascoltare è un’arte importante, distinguere e controllare è sempre necessario, diffidare di tutto e di tutti è sbagliato, ma bisogna saper scegliere... ci potremmo avvicinare, un po’ per volta, a un sistema di informazione meno superficiale e più sensato.

Può essere arbitrario affermare che “il novanta per cento è spazzatura”. Non solo il numero è privo di qualsiasi valore statistico (è un concetto o un criterio, non un’unità di misura) ma non è irrealistico pensare che la percentuale delle cose credibili, o comunque non insensate, possa essere un po’ di più del dieci per cento, quando non ci si muove in ambiti dominati dalla spazzatura – cioè abitualmente dedicati al pettegolezzo, all’ignoranza, al pregiudizio, alla superficialità, all’idiozia o ad altre insulse divagazioni.

Il problema non è sapere “quante” sono le cose cui vale la pena di badare. È molto più importante capire “quali”. Con attenzione ed esperienza, è meno difficile di quanto possa sembrare a chi non ha mai cercato di distinguere. Ma è vero per tutti, anche per i più attenti, che “non si finisce mai di imparare”.

Sentiamo spesso dire che il novanta per cento di ciò che mangiamo è spazzatura. Per fortuna non è vero. I malesseri da cattiva alimentazione ci sono, ma ogni analisi seria dimostra che (in quella parte del mondo in cui viviamo) sono meno gravi e diffusi oggi di quanto fossero cento o mille anni fa.

Non è affatto dimostrato che sia altrettanto migliorata la nostra salute mentale. Lo stato della cultura non era buono nel passato, perché gran parte della popolazione era privata di informazioni e di capacità critiche – e anche allora molto di ciò che dicevano e credevano le persone “colte” era, a dir poco, discutibile. Ma nell’abbondanza di oggi non è facile orientarsi.

Non voglio ripetere qui ciò che ho scritto varie volte sul “paradosso dell’abbondanza”. Ma è sostanzialmente vero che dell’abbondanza di informazione, anche quando è ingombrante e difficilmente gestibile, non ci dobbiamo lamentare. Il contrario è molto peggio. L’unica scelta sensata è imparare a orientarci nella confusione, a convivere con l’inondazione dell’inutile, del superficiale o dell’insensato, ad accorgerci di quanto possa essere divertente (oltre che illuminante) cogliere i segnali più rilevanti (che spesso non sono i più diffusi) anche quando stanno in mezzo a ciò che, a prima vista, poteva sembrare “tutta spazzatura”.

(Per chi si chiede se sia come “cercare un ago in un pagliaio”, la risposta è che è possibile, con un po’ di esperienza, sviluppare calamite mentali capaci di rendere il compito meno arduo).

È questo il valore del concetto di Sturgeon: per quanto grande possa essere l’ingombro dell’inutile, del falso e dell’irrilevante, vale la pena di guardare bene nel mucchio per trovare ciò che è utile, stimolante, interessante, degno di essere letto e capito. Anche se fosse faticoso (per un occhio addestrato, spesso non lo è) ne varrebbe la pena.




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