labirinto
Il filo di Arianna


gennaio 2006

Giancarlo Livraghi – gian@gandalf.it



L’evoluzione dell’evoluzione
ovvero
Darwin e società umana

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Di etica si parla molto, ma alle parole non corrispondono i fatti (vedi E se l’etica tornasse di moda?). In questa complessa situazione è interessante un servizio di copertina pubblicato dall’Economist il 24 dicembre 2005.

È significativo che questo argomento sia trattato da una rivista che non si occupa prevalentemente di divulgazione scientifica, ma di economia, politica e società. Risponde a una domanda che ci poniamo da secoli e millenni – ed è oggi, più che mai, di attualità. I valori etici, sociali, collaborativi, sono parte della natura umana? O devono nascere da fattori estranei, come le convinzioni filosofiche o religiose, le leggi e le regole concepite e imposte (più o meno arbitrariamente) da qualche autorità?

Fin dai tempi dell’illuminismo era chiaro che l’ingenua visione del bon sauvage, come l’aveva immaginata Jean-Jacques Rousseau, non trova conferma nei fatti e nella storia. Cioè non è vero che l’uomo, “buono” e civile allo stato di natura, sia reso barbaro e crudele dalle istituzioni “moderne”.

Ma non è vero neppure il contrario: cioè che l’uomo sia “per natura” egoista e malvagio, e che ogni possibilità di convivenza civile debba derivare da un intervento “esterno”.

Rivedere questo concetto significa abbandonare gli schemi rigidi su cui si basano le teorie economiche – codificate dalla più dogmatica, meno evoluta e meno sperimentale di tutte le scienze, tanto che definirla “scientifica” è sostanzialmente improprio. Le conseguenze, anche pratiche, di questa distorsione culturale sono serie e preoccupanti. Ma quello è un altro, e complesso, discorso.

Vediamo come l’Economist (cosa certo non casuale) ci aiuta a osservare il problema dal punto di vista dell’evoluzione – e in particolare dell’antropologia.


copertina
copyright © The Economist

La divertente immagine di una donna sui gradini più alti
ha un’interessante chiave di lettura,
ma non riguarda il contenuto dell’articolo
(che sia in abbigliamento “natalizio”
è solo un riferimento alla data di pubblicazione).
È chiaro comunque che in questo contesto per “uomo” si intende
“essere umano”, indifferentemente maschio o femmina della specie.


Un breve articolo introduttivo è completato da un’ampia sezione (dieci pagine) che documenta in modo più dettagliato le recenti scoperte storiche e archeologiche e gli sviluppi che ne derivano nello studio dell’evoluzione, oggi molto progredito rispetto alla definizione iniziale concepita da Charles Darwin.

Il fatto fondamentale è che collaborazione e benevolenza sono parte della natura umana almeno quanto lo sono l’egoismo e la malevolenza. Gli sviluppi degli studi sull’evoluzione dimostrano quanto fosse sbagliata la prospettiva del cosiddetto “darwinismo” economico nel diciannovesimo secolo, che influisce ancora su diffuse, quanto infondate, concezioni di oggi.

Il “concetto avvelenato” di “sopravvivenza del più adatto”, spiega l’Economist, era nato prima dello studio dell’evoluzione. L’aveva definito Herbert Spencer, come parte della dottrina economica. La pubblicazione (nel 1859) di L’origine della specie di Charles Darwin offrì agli economisti “classici”, e in particolare a Spencer, l’occasione di trovare un parallelo fra le loro teorie e il concetto di evoluzione, in cui trasferirono quella grossolana boutade.

Più di cent’anni fa Herbert Spencer era un collaboratore dell’Economist (che esce regolarmente dal 1843). È interessante che oggi la “sua” rivista, alla luce dei fatti e dello sviluppo scientifico, riveda in modo critico le opinioni del passato.

Nacque così il “darwinismo sociale”, una teoria perversa quanto scientificamente infondata. Non è il concetto antico di homo homini lupus, come lo definivano con disgusto Plauto e i tanti che l’hanno citato. È la glorificazione del più spietato egoismo: è inevitabile il predominio dei più forti, ogni aiuto ai più poveri o ai più deboli è uno spreco, perché non sono “i più adatti alla sopravvivenza”.

Il “darwinismo” così inteso non è solo condannato al fallimento come concetto economico e sociale, ma è anche insostenibile dal punto di vista scientifico, perché non riesce a spiegare il fatto che nell’evoluzione umana c’è sì competizione, ma anche compassione e collaborazione. Una società priva di solidarietà, fiducia e consenso non è solo disumana – ha anche scarse possibilità di sopravvivenza.

Per un secolo il “darwinismo” così concepito si è dibattuto nelle sue contraddizioni e perciò sembrava destinato a estinguersi. Ora invece il concetto di evoluzione ritorna con energia – ma è una cosa molto diversa da ciò che sembrava a chi aveva scelto di interpretarlo in modo sbagliato.

Se gli studi di Darwin erano “profetici” rispetto a ciò che poi si è capito con lo sviluppo della biologia e la scoperta del DNA, hanno anche fatto molti progressi grazie a quasi 150 anni di evoluzione scientifica. Per esempio recenti analisi genetiche, insieme alle scoperte archeologiche, hanno permesso di definire in modo più preciso lo sviluppo e le migrazioni di diverse specie umane e umanoidi (spesso identificando date più antiche di quelle precedentemente immaginate). Questi studi sono ancora in corso e molto resta da scoprire. Ma intanto si è già progrediti abbastanza per poter ridefinire alcuni concetti evolutivi della nostra specie.

«La principale scoperta del darwinismo moderno – spiega l’Economistè l’identificazione del ruolo centrale della fiducia nell’evoluzione umana». La fiducia nasce dapprima fra i rapporti più stretti, famigliari e di vicinanza, ma poi si estende a chi dimostra di meritarla, verificando con l’esperienza, dandola a chi collabora e negandola chi imbroglia.

Questa è una caratteristica fondamentale di ogni specie che si possa definire “umana”. Che non è mai totalmente collettiva, ma neppure totalmente individuale. Sopravvive solo con un equilibrio dinamico fra i due fattori (l’Economist ci ricorda che questo somiglia al concetto hegeliano di tesi-antitesi-sintesi – da cui deriva l’interpretazione marxista della storia, oggi accettata da molti che credono nel capitalismo e nell’economia di mercato).

Insomma sarebbe ingenuo credere che l’evoluzione possa avvenire senza contrasti e conflitti. O che la natura umana sia dominata dall’altruismo, dalla solidarietà e dall’attenzione al “bene comune”. Ma il fatto è che senza quei valori l’umanità non è in grado di esistere.

Ho molto rispetto per le filosofie dell’etica – e per i valori “assoluti” come quello che Kant chiama “imperativo categorico”. Ma è importante capire che non si tratta solo di princìpi ideali – e tantomeno di irraggiungibili utopie.

Sarebbe sciocco ricadere nell’errore di Rousseau e immaginare che basti la natura umana per avere una società civile. Ma è altrettanto sbagliato credere che civiltà, etica, collaborazione e solidarietà siano contrarie al carattere strutturale e genetico della nostra specie. Sono necessarie alla sua sopravvivenza – e soprattutto a un’evoluzione che non sia solo l’arte di sopravvivere, ma anche quella di crescere e migliorare.




In un altro articolo di questa serie, nel marzo 2005,
L’eclissi di Darwin era vista in un contesto diverso.




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