L’umanità dell’internet
(le vie della rete sono infinite)

omini

di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it



Capitolo 54
Comprare online


Sembra che il mondo sia diviso fra chi considera l’internet come uno strumento solo commerciale e chi si scandalizza perché la “purezza” della rete è inquinata da un eccesso di e-commerce. La realtà è che il cosiddetto “commercio elettronico” (per ora) è molto meno sviluppato di come si dice; e che una parte preponderante dell’attività nell’internet non è legata ad alcuna forma di commercio.

Che l’internet sia usata anche per vendere e comprare non è una novità. Fin dalle origini della rete c’erano transazioni di ogni genere. Per esempio, e ovviamente, il trasferimento di software – gratis, a pagamento o con altri criteri, come shareware.

Il modello shareware è ancora diffuso. Un software è liberamente disponibile, ma dopo un “periodo di prova” è a pagamento. Ci sono infinite sfumature fra il massimo di flessibilità (in pratica l’autore del software dice «te lo regalo ma se ti piace sarebbe simpatico che tu mi pagassi qualcosa») e soluzioni più rigide in cui il fornitore insiste per essere pagato alla “scadenza” del periodo di prova. È possibile concepire un software in modo che smetta di funzionare alla scadenza – ma quasi nessuno dei produttori di shareware è così “cattivo”. Ci sono anche software che hanno due versioni: una più semplice (light) disponibile gratis, l’altra con maggiori prestazioni e a pagamento. Naturalmente l’assistenza tecnica viene data solo a chi ha comprato il software. Secondo me è una buona idea pagare i programmi shareware se continuiamo a usarli, perché è un “dovere morale” essere cortesi con chi si affida alla nostra correttezza – e perché se tutti lo facessimo un po’ più spesso aiuteremmo a tenere in vita questo genere di soluzioni. Ce ne sono molte interessanti e di buona qualità – e di solito costano molto meno dei software “commerciali”. Ci sono molti siti e repertori online che offrono software gratuito o shareware. Come per esempio shareware.com, download.com, FTPSearch.net e Tucows (per cose un po’ insolite warez.com). E ce ne sono parecchi altri.

E c’era anche, naturalmente, un commercio “clandestino” di software copiato.

In realtà non era, e non è, molto “clandestino”. Ci sono risorse pubblicamente accessibili. Uno degli sport più diffusi riguarda i giochi. Quando i venditori di giochi introdussero un sistema di “difese” (formule per aprire il gioco che conosce solo chi ha il manuale) si diffusero i crack, cioè piccoli software che tolgono il blocco. Se trovano abbastanza facilmente in rete. Come si trovano piccole enciclopedie di soluzioni e trucchi per superare i “punti difficili” dei giochi (in particolare i percorsi, o walkthrough, per gli adventure game, o giochi di ruolo). Oggi imperversano le polemiche e le repressioni sulla “copiatura” del software, giochi compresi; ma la vendita dei giochi ha continuato a prosperare nonostante la diffusa disponibilità di copie non registrate. (Vedi il capitolo 22).

Ma non solo software. Anche prima che si diffondesse l’internet c’erano molti BBS o altri sistemi in cui si trovavano “piccoli annunci” con cui le persone si scambiavano prodotti o servizi. Da «mi si è guastato un eseguibile nel programma tal dei tali, qualcuno per piacere mi dà una copia di quel file?» a «parto in macchina per Parigi, qualcuno vuol condividere il viaggio e le spese?».

Con la diffusione dell’internet in categorie sempre più ampie della popolazione, le offerte “commerciali” in rete si sono moltiplicate. Ma siamo ancora agli inizi. Ci sono transazioni importanti fra le imprese (il cosiddetto business to business) ma per quanto riguarda le persone gli acquisti in rete, per ora, riguardano soprattutto alcune categorie di prodotti. Software, hardware, libri e musica. L’impresa di maggior successo nel “commercio elettronico” si chiama Amazon ed è una libreria. In un’intervista pubblicata nel febbraio 2000 Jeff Bezos, fondatore e presidente di Amazon, raccontava che l’idea originaria da cui nacque Amazon non era basata necessariamente sui libri, ma sul concetto di organizzare un’impresa per vendere qualcosa online – che a quei tempi (1995) era ancora una cosa nuova e poco sperimentata. Bezos spiegava che ha sempre amato i libri, fin da bambino passava molto tempo a leggere, ma il motivo per cui aveva scelto di cominciare con i libri era un altro.

Il resto di quella lunga intervista non è disponibile online; ma ce n’è un ampio riassunto in italiano nel numero 42 della rubrica Il mercante in rete. A proposito di Amazon, vedi il capitolo 33 di La Coltivazione dell’internet. Amazon ha fatto parecchi tentativi di allargare la sua attività ad altri settori; alcuni riusciti, altri no. La base dalla sua attività è la vendita di libri.

Ero andato a vedere quali fossero i prodotti più venduti per corrispondenza e avevo notato che i libri erano molto in basso nella lista. Perché? Un catalogo di tutti i libri disponibili avrebbe le dimensioni di 50 guide telefoniche di New York. Nessuno può stampare e distribuire un volume come quello dodici volte all’anno. Ma era diventata disponibile una tecnologia che poteva mettere quel catalogo in mano ai clienti. La più grande delle super-librerie fisiche negli Stati Uniti ha 170.000 titoli (in Italia se ne stampano 50.000 all’anno – n.d.t.). Amazon, già il giorno in cui l’abbiamo aperta, ne aveva un milione. Oggi abbiamo 18 milioni di “voci” in catalogo, compresi giochi, elettronica eccetera. La nozione fondamentale era “spazio infinito sugli scaffali”. Questo ci avrebbe permesso di dare autentico valore ai nostri clienti.

Questo è il nocciolo del problema. Ci sono prodotti e servizi che ci conviene comprare online; altri che è molto più pratico e conveniente comprare in un negozio. Questo dipende dal tipo di prodotto o servizio, dal luogo e dalla situazione in cui siamo, dalle nostre tendenze e inclinazioni personali. Se un’offerta online non ci dà un vantaggio significativo (non solo di prezzo, ma anche di qualità e servizio) non abbiamo motivo di accettarla.

Per esempio... sono un cliente di Amazon fin da quando è nata nel 1995. Perché? Il motivo è semplice. Mi interessano spesso libri in inglese che non è facile trovare, neppure nelle due librerie anglo-americane di Milano (che comunque continuo a frequentare). Se li ordinassi in libreria ci vorrebbe molto più tempo, costerebbe di più e dovrei andare due volte dal libraio: la prima per ordinare il libro e la seconda per ritirarlo. In questo caso comprare online è molto più semplice, pratico ed efficiente.

Il primo passo, nell’usare la rete per comprare, è informarsi. Per esempio le librerie online sanno che nel 90 per cento dei casi le persone vanno sul loro sito per raccogliere informazioni e poi comprano dal libraio più vicino. Cioè imprese come Amazon offrono un servizio gratis (informazioni) di cui si ripagano con quel 10 per cento di libri che qualcuno decide di comprare da loro.

Il cosiddetto customer empowerment, cioè l’aumento del “potere di chi acquista”, non è una leggenda. È un fatto. Nella stessa intervista Jeff Bezos (che è il proprietario della più importante marca mondiale nel “commercio elettronico”) rispondeva a una domanda sulla “fedeltà di marca”.

Le imprese che credono di poter contare sulla fedeltà di marca sono matte. I clienti ci sono fedeli se non approfittiamo della loro fiducia. Non ci si può riposare sugli allori. Se diamo qualcosa per scontato diamo un disservizio ai nostri clienti e non è giusto che ci siano fedeli. I clienti ci sono fedeli fino all’istante in cui qualcun altro offre un servizio migliore. Si vive o si muore in base all’esperienza che il cliente ha di noi. Questo è il fatto: online l’equilibrio del potere si sposta a favore del cliente. Il nostro segreto è che non siamo ossessionati dalla concorrenza. Siamo sempre stati ossessionati dall’esigenza di servire meglio i nostri clienti, mentre i nostri concorrenti erano ossessionati da Amazon.

Queste dichiarazioni sono confermate dai fatti. Da anni sono “fedele” ad Amazon perché il servizio è eccellente. Non perché non sbagliano mai; ma perché quando sbagliano sono pronti ad ammetterlo e a correggere. Jeff Bezos ha ragione: la mia “fedeltà” non è cieca, né passiva. Durerà fino a quando avrò il servizio che mi aspetto – e nessun altro mi offrirà un servizio migliore. E come me si comportano i milioni di clienti che Amazon ha in tutto il mondo.

Quante imprese hanno capito questa fondamentale verità? A giudicare dai fatti, poche. La qualità delle offerte online (e del servizio di consegna, assistenza, eccetera) spesso è deludente.

Insomma... dobbiamo imparare a usare il “potere” che ci danno i nuovi sistemi di comunicazione. Usare la rete per informarci e per scegliere. E se poi la usiamo anche per comprare, esigere un servizio puntuale, un’assistenza efficace e umanamente gradevole, una qualità (e un prezzo) migliore di quello che avremmo usando un canale di vendita “tradizionale”. Abbiamo il diritto di essere esigenti, impazienti e difficilmente “accontentabili”. Più siamo attenti, più potremo contribuire a migliorare la qualità dell’offerta; con vantaggio di tutte le persone che comprano e anche di quei venditori che offrono migliore qualità e migliore servizio.

Anche nel commercio (o in qualsiasi transazione) ciò che conta è la qualità delle relazioni e dei rapporti umani. Possiamo usare la rete per verificare i prezzi; ma ciò che ci dobbiamo aspettare non è solo un costo più basso o una migliore comodità. Dobbiamo pretendere servizio, assistenza, qualità – e buoni rapporti umani. Chi non sa capire le nostre esigenze non merita la nostra attenzione. E ancora meno i nostri soldi.






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