L’umanità dell’internet
(le vie della rete sono infinite)

omini
di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it



Capitolo 26
Elogio della lentezza


Ritornerò su questo argomento nel prossimo capitolo, più specificamente sull’uso della rete. Ma non è un problema che riguarda solo l’internet. In generale, l’epoca in cui viviamo è condizionata dalla fretta; in un modo confuso, irragionevole e spesso snervante. È vero che oggi molte cose si muovono e si sviluppano più velocemente che in passato; ma non in modo così isterico e assillante come sembra.

Un vecchio proverbio dice “chi va piano va sano e va lontano”. Credo che sia nato in un mondo antico e agricolo, dove il tempo era dettato dal ciclo delle stagioni. Per i contadini l’unico mezzo di trasporto era andare a piedi; e anche chi poteva disporre di un cavallo o di una carrozza andava poco lontano, rispetto a ciò che possiamo fare oggi, e ci metteva un’infinità di tempo. Il lavoro nei campi era pesante. L’orario era “dall’alba al tramonto”; sei giorni alla settimana (se davvero riposavano la domenica). Un po’ meno pesante nel freddo dell’inverno, quando anche le piante riposano; sfiancante d’estate. Possiamo o vogliamo tornare a quell’era bucolica? Credo di no. Ma non è un buon motivo per vivere ossessionati dalla fretta.

(Ma c’è, in parte, un ritorno a culture “pre-industriali”. Vedi i capitoli 12 e 13 a proposito delle cose “antiche” che ritornano di attualità e dei valori “agricoli” nella società e nella cultura di oggi e di domani).

Sento ripetere affermazioni che mi lasciano molto perplesso. Per esempio... in base alla sempre citata “Legge di Moore” la potenza (velocità) dei processori raddoppia ogni 18 mesi. In realtà non si tratta di una “legge”, non è vero che si sia un “raddoppio” ogni 18 mesi e le definizioni più diffuse dell’osservazione di Moore sono sbagliate (vedi La leggenda di Moore). Ma anche se la “legge” fosse esatta e confermata dai fatti resterebbero problemi rilevanti nella sua interpretazione e nelle deduzioni che se ne ricavano.

I progressi della tecnologia sono affascinanti. Ma le conseguenze che se ne deducono sono molto discutibili. Qualcuno dice che un’automobile, in cento anni, ha raddoppiato e triplicato la sua velocità, mentre un computer la raddoppia in un anno e mezzo. Ergo tutto ciò che riguarda l’informatica e l’internet deve essere più veloce. Un ragionamento di questa specie non regge a un minimo di analisi. È tecnicamente possibile fare propulsori che fanno volare un aereo a migliaia di chilometri all’ora o che lanciano un razzo al di là dei limiti orbitali. Ma non avrebbe senso alcuno far andare un’automobile a quelle velocità. Non reggerebbe il mezzo fisico (ruote, freni, struttura) e soprattutto nessuno riuscirebbe a guidarla.

La potenza dei processori è andata enormemente oltre l’utilità che ne può avere un singolo utilizzatore. Sistemi sempre più potenti e veloci possono essere utili per grandi macchine con compiti complessi, ma non servono per i “personal computer”. E sappiamo che la potenza della rete, cioè dei sistemi di connessione, è diventata molto più importante della capacità di elaborazione di una singola macchina.

Quindi l’effetto della “Legge di Moore” dovrebbe essere uguale potenza (con soluzioni più stabili e affidabili) a un prezzo che si dimezza (forse non ogni 18 mesi... ma almeno ogni due o tre anni). Invece si continuano a inventare complicazioni per “riempire” la potenza dei processori e le capacità di strumenti di supporto (memoria, “dischi rigidi” eccetera) sempre più grandi, con inutili e ingombranti “innovazioni” che costringono a continui “aggiornamenti”. Non si vede ancora la fine di questa rincorsa dell’assurdo, ma un giorno o l’altro il buon senso dovrà prevalere.

Un passo ancora più azzardato è quello che porta a pensare che in conseguenza di tutto ciò il mondo debba muoversi sempre più in fretta. In realtà un po’ di accelerazione servirebbe là dove servizi mal strutturati fanno perdere un’infinità di tempo. Sono il primo a trovare insopportabile che per un’ora di volo se ne debbano perdere tre in trasporti urbani e attese negli aeroporti. Per non parlare delle sciagurate tecnologie che ci fanno perdere tempo con sistemi telefonici malfunzionanti, code inutili, infinite scomodità che potrebbero essere eliminate usando le risorse tecniche (e umane) con un po’ di raziocinio. Ma di questo quasi nessuno si occupa seriamente. E intanto tutti vanno di corsa, senza sapere dove o perché.

Tutta questa fretta è, come dicono, un effetto dell’internet? Perché con la rete si comunica velocemente, e quindi dobbiamo fare più in fretta tutto il resto? Non credo proprio. La “macchina della fretta” si è messa in moto parecchi anni fa, quando l’internet non c’era o la usavano pochissime persone. L’ossessione della fretta è soprattutto nel lavoro, ma ha invaso anche la vita privata. Fast food, fast vacanze, fast rincorsa di qualsiasi cosa... da come lo vediamo rappresentato in giro sembra che perfino il sesso sia diventato fast, qualcosa da “consumare” in fretta. Sembra che il massimo delle ambizioni umane sia l’eiaculazione precoce (questo potrebbe contribuire a spiegare perché tante donne sono un po’ irritate nei confronti dell’universo maschile).

Credo che sia venuto il momento di fermarsi – almeno per qualche minuto – e pensare. Se si vuole arrivare in fretta, spesso è molto più efficace tracciare con calma un percorso intelligente che correre chissà dove senza bussola. Anche (e specialmente) nell’internet, spesso un’intuizione veloce può abbreviare un percorso; ma a quell’intuizione non si arriva se non si è costruito prima un patrimonio di esperienza e di orientamento. L’evoluzione della rete (non mi stancherò mai di ripeterlo) è biologica. Può essere veloce, ma ha tempi e ritmi che seguono un’evoluzione naturale. Le origini di quella che oggi è la rete sono più antiche di quelle tecniche (che comunque risalgono a trent’anni fa o più). Nascono da concetti che avevano già preso forma cinquant’anni fa – o anche prima. L’internet non è una tecnologia, è una cultura. E le culture umane non si formano in pochi anni. L’evoluzione che può nascere dai nuovi sistemi di comunicazione è ancora all’inizio; possiamo discutere se si tratti di infanzia o adolescenza, ma certo è molto lontana dalla maturità.

Circolano molte sciocchezze a proposito di velocità nella rete. Come la diffusa, quanto falsa, opinione che “un anno internet sia uguale a tre mesi del tempo normale”. Non è vero. Il tempo del dialogo e delle relazioni è il tempo delle persone. Un mese è un mese, un anno è un anno. I tempi della vita, dei rapporti, degli incontri, della conoscenza e dell’esperienza non cambiano solo perché usiamo uno strumento diverso per comunicare.

Alcuni mesi dopo aver scritto la prima stesura di questo capitolo ho letto un interessante articolo pubblicato il 4 dicembre 2000 da un autore che cito spesso e volentieri, Gerry McGovern: The new economy grows old, in cui fra l’altro spiega perché dev’essere abbandonata l’ipotesi di un “tempo internet” diverso dal normale.

Per fare un buon ragù non ci vuole un ciclotrone. Bastano attrezzi semplici; ma bisogna metterci tempo, esperienza, intelligenza, attenzione, sensibilità e gusto. Le stesse cose che servono per comunicare efficacemente – in rete come in qualsiasi altro modo. Con la differenza che un discreto ragù si può comprare già pronto al supermercato, ma la buona comunicazione non è mai “preconfezionata” o di serie.

Ciò che conta non è usare tecnologie veloci ma costruire relazioni durature. Cosa che oggi possiamo fare molto più velocemente di quanto potesse un contadino di trecento o tremila anni fa. Ma si tratta di mesi o anni, non di giorni o minuti.






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