Il potere della stupidità
Kali

La stupidità
dei “luoghi comuni”

(e la perenne necessità del dubbio)

Giancarlo Livraghi – novembre 2007


Disponibile anche in pdf
(migliore come testo stampabile)



Quante sono le cose che “crediamo di sapere”, ma in realtà sono panzane? I “luoghi comuni” hanno un’enorme capacità di diffondersi, e di durare nel tempo, anche quando un minimo di verifica basterebbe per scoprire che sono infondati. Ciò non vuol dire, naturalmente, che “tutte” le cose abitualmente dette o pensate siano false o devianti. Ma il fatto è che le bufale sono tante. Alcune durano da secoli o millenni, ma ogni giorno ne nasce qualcuna nuova.

“Lo dicono tutti” non dimostra affatto che ciò che dicono sia credibile o significativo. Né ci può dare certezza che un’affermazione venga da una “fonte autorevole” o da una “persona esperta”. Spesso i cosiddetti “esperti” non sanno di che cosa stanno parlando. E ci possono essere affermazioni sballate anche nei testi considerati più “seri” (spesso perché qualcuno ha copiato da qualcun altro senza verificare se l’autore fosse credibile su quell’argomento).

Non è il caso di pubblicare qui una “recensione” di un libro di cui si è già data ampia notizia sui giornali, in televisione eccetera. The Book of General Ignorance di John Lloyd e John Mitchinson – 2006 (traduzione italiana Il libro dell’ignoranza pubblicata da Einaudi nell’ottobre 2007). Ma credo che il tema meriti qualche commento.


ignorance   ignorance   ignoranza

È incomprensibile l’immagine sulla copertina dell’edizione italiana.
Che cosa vuol dire quella rana che si arrampica su una scala?

È anche bizzarro che, di 224 esempi, si sia scelto
di mettere in copertina uno dei pochi sbagliati.
«Di che colore è il vostro cervello?
Se avete risposto “grigio” compratevi questo libro»

Non è “falso” che la materia cerebrale sia “grigia”,
come risulta anche dal testo di questo libro.

La traduzione italiana, in complesso, è buona.
Ma contiene qualche errore poco perdonabile,
come tradurre compass con “compasso” invece di “bussola”.
 

Più di duecento esempi sono, naturalmente, solo una piccola antologia nell’infinita moltitudine delle panzane di cui è pieno il “credere di sapere”. Ma l’utilità del libro non sta solo nel correggere alcuni degli errori più comuni. Il fatto più interessante è che ci aiuta a capire quanto siano diffuse le “false certezze” e quanto sia importante coltivare la coscienza del dubbio, insieme a un’insaziabile curiosità.

Può non essere necessario, per chi non si occupa di storia, sapere che Nerone non ha incendiato Roma. Possiamo capire la metafora del camaleonte anche sapendo che sono altri gli animali che cambiano colore per adattarsi all’ambiente. Non è il caso di spaventarsi per ogni ronzio, anche se sappiamo che l’animale più letale nella storia dell’umanità è la zanzara. Eccetera.

È abbastanza ovvio (ma quanti si soffermano un minuto a pensarci?) che gli struzzi non mettono la testa sotto la sabbia – e che ogni imitazione di quell’immaginario comportamento è molto stupida (ma quanti, pur sapendo che è sciocco, preferiscono ”far finta di non vedere”?). Possiamo, comunque, divertirci per il valore “aneddotico” di tanti esempi, anche quando non riguardano in modo diretto né la nostra vita, né la nostra cultura.

Ma è altrettanto divertente (anche se può essere un po’ sconcertante) capire il problema in una prospettiva più ampia. Soprattutto è molto utile, se vogliamo evitare di cadere continuamente in errori provocati da ogni sorta di infondati “si dice”.

L’ignoranza è una cosa diversa dalla stupidità. (Vedi il capitolo 13 di Il potere della stupidità – o le osservazioni online su questo argomento). Ma credere nei “luoghi comuni”, o nella quotidiana proliferazione di bufale, è pericolosamente stupido. Perfino questo libro va letto cum granu salis. In alcuni casi, per sfatare un luogo comune, se ne cita un altro. È “colpa” degli autori? Non esageriamo. In una nota alla fine del libro spiegano che la sigla QI (il programma che conducono per la Bbc) sta per Quite Interesting (non per “quoziente di intelligenza”, come potrebbe sembrare a un lettore italiano).

qi
“Quite Interesting”
 

Dicono: «Non pretendiamo di essere Quantomai Giusti. Se avete risposte migliori a qualunque nostra domanda, o se avete domande nuove da proporre, ci piacerebbe conoscerle». Dibattere con loro su come un certo luogo comune può essere meglio “sfatato”, o su quali altri esempi meriterebbero di essere citati, potrebbe essere divertente, ma sarebbe un’impresa interminabile. L’importante è che anche John Lloyd e John Mitchinson sanno di non essere infallibili – e questo contribuisce alla qualità del loro lavoro.

Come ho detto e scritto tante volte – il più stupido degli stupidi è chi crede di sapere tutto o di non sbagliare mai. Perciò il sovrano strumento del dubbio non va usato solo verso “gli altri” o verso la proliferazione del “sentito dire”, ma anche (o soprattutto) rivolto verso l’apparato delle nostre convinzioni. Quanto di ciò che “crediamo di sapere” è il frutto di un’informazione sbagliata, o capita male, o di qualche nostro problema di percezione, o di nozioni che ci “portiamo dentro ”senza sapere da dove vengono? Anche Cartesio, credo, sarebbe d’accordo: la premessa del conoscere è dubito ergo sum.

È difficile? Molto meno di come può sembrare. Deve diventare odiosa, ossessiva diffidenza? No. Dubitare è un modo di essere e di pensare, non significa diffidare sempre di tutto e di tutti – cosa non solo impossibile, ma inutilmente snervante. Consuma tempo? Non sempre. E comunque il tempo speso per capire meglio è molto meno di quello che occorre poi per correggere le conseguenze degli errori. Non solo evitare i danni del “non capito” risparmia molte occasioni di malumore, ma il fatto stesso di capire è, in sé, un’esperienza positiva, illuminante, spesso divertente.

Ciò che dice Darrell Huff a proposito di statistiche, «è meglio sempre dare una seconda occhiata», vale anche per ogni altro genere di informazioni. L’arte del dubbio può essere più intuitiva che logica. Con un po’ di pratica, può diventare istintiva.

Se qualcosa “non quadra” con ciò che sappiamo – o che ci sembra di sapere – cerchiamo di “dare una seconda occhiata”. Non è sempre necessario farlo subito. Possiamo ricordare il dubbio, in attesa che arrivi qualche segnale, spesso in modo indiretto o imprevedibile, che ci aiuta a capire meglio. Così potremmo scoprire una bufala. O accorgerci che c’era qualcosa di sbagliato nel nostro “patrimonio di conoscenze”. Oppure (accade spesso) c’è una combinazione delle due cose.

Dubitare è scomodo? Talvolta può esserlo. Ma l’apparente “comodità” dei luoghi comuni, dei preconcetti e delle “false certezze” non è solo stupida e noiosa. È anche una sonnolenza della mente che può portare a una perniciosa atrofia. O a un brusco e sgradevole risveglio dalle ambigue coccole dell’ignoranza.




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