Il potere della stupidità
Kali

Attenzione agli stupidi,
sono sempre contagiosi

 
Intervista di Antonella Marrone a Giancarlo Livraghi
su Liberazione – 27 marzo 2005



«Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità. Sull’universo non sono sicuro». Questa osservazione di Albert Einstein è la piccola epigrafe che Giancarlo Livraghi ha scelto per il suo libro,Il potere della stupidità(12 euro, M&A edizioni). Chiara, semplice. Come queste pagine che ci riassumono il mondo in cui viviamo: complicato, turbolento e spesso stupido.

Giancarlo Livraghi è prima di tutto un comunicatore-pensatore, uno che è stato per decenni un protagonista in pubblicità (pensate, ha fatto i primi caroselli quelli che dopo si andava a letto), un “creativo” (anche se quella definizione non gli piace) consapevole della delicatezza e dell’impegno di un mestiere che andava mettendo radici, che si insinuava nelle vite altrui come “potente” tra i potenti del mondo. La pubblicità, appunto, oggi anima dolente di qualunque commercio e di qualunque impresa.

Livraghi, dunque, ha molto pensato, sui comportamenti umani – e, fra questi, sull’onnipresente stupidità. Questo libro è un misterioso apologo, un pamphlet, un rivoluzionario libello, un libretto carbonaro, un percorso diretto che lascia intravedere altre strade, dentro un argomento che affascina tutti noi che a volte ci sentiamo stupidi, ma, molto più spesso, ci sentiamo circondati da stupidi.

Il testo è nitido, diretto, senza sottintesi. Ma nel libro ci sono stimoli che possono far nascere, in un lettore attento, qualche riflessione in più. «Comunque – osserva Livraghi – un libro non è mai un monologo. Chi legge interpreta, pensa, ci mette molto di suo. Più succede così con qualcosa che ho scritto, più ne sono contento, perché un libro è vivo solo quando il lettore lo fa vivere».




Lo stupido che ha potere può essere molto pericoloso, ma non è detto che si capisca subito la stupidità. D’altro canto viene detto stupido anche colui che, più semplicemente, ha idee diverse dagli altri e non ha potere. È questo il caso in cui crea imbarazzo, ma può essere, invece, “portatrice” di idee nuove. Insomma, dal libro viene fuori una faccenda complessa.

Il potere della stupidità è enorme. È la più grande forza distruttiva nella storia del genere umano. Come confermano gli approfondimenti di tutte le epoche – e, continuamente, le cronache quotidiane. Anche uno stupido che non ha potere può commettere errori molto pericolosi (o indurci a farlo, confondendoci le idee). Ma, ovviamente, quando la stupidità si associa con il potere il danno assume dimensioni catastrofiche. E ci sono alcuni fenomeni nei meccanismi del potere che producono una dose aggiunta di stupidità – come ho cercato di spiegare in varie parti di questo libro (non solo nel capitolo “La stupidità del potere”).

Certo, la stupidità imbarazza quando non abbiamo il coraggio di guardarla in faccia – a cominciare dalla nostra. Ma ci imbarazza anche quella degli altri, perché ci mette a disagio quando la sappiamo riconoscere e ci confonde quando non ce ne accorgiamo. È vero, spesso si tratta da stupido chi ha idee diverse – soprattutto se sono idee scomode, che mettono in dubbio pregiudizi diffusi, convenzioni consolidate. Ma considerare l’altro stupido ci mette al riparo da possibili scambi di idee e dialoghi. Questa è una forma pericolosa (e imperversante) di stupidità collettiva.


È difficile riconoscere dignità “scientifica” a uno studio sulla stupidità. O no?

Parecchi lettori dicono che il libro è rigoroso, per metodo e per lucidità. Bontà loro – ma non mi sono posto un compito così ambizioso. Non ho cercato di addentrarmi nel complesso problema di definire “scientificamente” che cosa sia la stupidità (se avessi avuto l’arroganza di tentare, probabilmente avrei scritto un libro noiosissimo – e mi sarei perso in meandri tenebrosi).

La letteratura sull’argomento è scarsissima. Si sono dedicati studi ponderosi (quanto inconcludenti) a cercare di definire che cosa sia l’intelligenza. Pochi (e, con qualche brillante eccezione, poco illuminanti) al problema della stupidità. Intesa, ovviamente, non come una malattia clinicamente delimitabile, ma come una componente intrinseca del comportamento umano.

Questo libro non è un trattato teorico sulla stupidità. È una raccolta di osservazioni pratiche sul pernicioso potere della stupidità – e sui modi per capirla, conoscerla, e così ridurne i danni e le conseguenze.


Lei scrive: «Invertire il ciclo autodistruttivo della fretta non è facile, ma se ci riusciamo i vantaggi possono essere sorprendenti. Fermare o almeno rallentare quel perverso meccanismo è un modo per ridurre il potere della stupidità». La fretta, l’abitudine, la paura e anche le tecnologie, ci rendono tutti un po’ più stupidi?

La fretta è ossessionante. Ed è quasi sempre falsa. Le cose fatte in fretta e furia riescono male, così si perde molto più tempo a cercare (frettolosamente) di aggiustarle di quanto ne sarebbe servito a pensarci un po’ meglio prima. Questa malattia imperversante è molto stupida – ed è una fabbrica di stupidità. Perdere tempo non è utile, né divertente. Ma trovare il tempo è una delle basi dell’intelligenza. Ogni tanto dovremmo fermarci e pensare. Che “manchi il tempo” è quasi sempre una bugia o un errore di prospettiva.

L’abitudine e la paura possono essere, secondo il caso, stupide o intelligenti. Ci sono paure giustificate (e capire le nostre paure ci rende un po’ meno stupidi) e ci sono buone abitudini. Ma non fa bene avere paura quando non ce n’è motivo, né abbandonarsi alla monotonia dell’abituale. Quando la fretta, la paura e l’abitudine si incrociano con la stupidità producono intrugli molto velenosi.

Quanto alle tecnologie... funzionano bene quando fanno cose semplici. Una macchina è molto più efficiente di un essere umano quando deve svolgere con precisione, o con velocità, un compito ripetitivo. Ma se si mescolano le tecnologie in operazioni complesse, come troppo spesso stiamo facendo, si moltiplicano le disfunzioni – e più il sistema è complicato, più è difficile aggiustarlo. Che fine ha fatto l’ergonomia? È ora di capire che le macchine e i sistemi devono essere al servizio delle persone – non viceversa.


Il punto resta comunque la semplicità. Ce lo ricordava anche Brecht in una sua magnifica poesia – dedicata al comunismo, per la verità, e ancora emozionante. Per questo leggere sul libro che «la semplicità non è solo una conquista intellettuale, è anche un’emozione» corrispode molto al mio sentire. Ed è una risposta al pregiudizio che la stupidità sia semplice e che l’intelligenza sia complicata.

La semplicità è una conquista. Quando ci si arriva, con una sintesi intuitiva, è illuminante. Un’autentica, affascinante emozione. Il percorso è difficile, occorre molto lavoro e approfondimento per scoprire la semplicità che si nasconde dentro il garbuglio delle complicazioni. Ma quando, finalmente, la si trova, non è solo una soddisfazione intellettuale. È un piacere estetico.

Se l’intelligenza è complicata, o non sa spiegarsi con chiarezza, vuol dire che non è abbastanza intelligente. L’intelligenza, come la verità, non esprime bene il suo valore se non è nuda, semplice, chiara. La stupidità, invece, si nutre di complicazioni e di travestimenti – e questo contribuisce a renderla insidiosa e pericolosa.

Molte stupidità o stupidaggini possono sembrare semplici perché si esprimono in “parole povere”. Ma sono soltanto banali, superficiali e convenzionali. Uno dei problemi è l’effetto “eco”. Una sciocchezza viene ripetuta all’infinito fino a quando, solo perché si continua a sentirla dire, viene presa per verità indiscutibile. Le “false certezze” sono una delle forme più pericolose di stupidità.


So che l’argomento è spinoso, controverso, “stupidamente” complicato, ma va affrontato: stupidità e politica (politica nel senso esclusivo di potere: poltrone, scambi, clientele, ecc ecc).

Un fatto strano (e preoccupante) è che quando si parla di “politica” si intende quasi sempre quel genere di manovre e di maneggi. Come se la politica, nel senso vero della parola, non fosse tutt’altra cosa... gestione della polis. Cioè del “bene comune”. Un’espressione così deformata e banalizzata che si fa fatica a pronunciarla senza sentirsi ridicoli.

Purtroppo sembra che sia impossibile fare politica senza “sporcarsi le mani” con qualche scambio di favori, qualche giro di scranni, qualche gioco di interessi, qualche manovra elettorale. Ma chi si lascia dominare da quegli espedienti finisce col diventarne prigioniero.

Uno degli aspetti più grotteschi è la “politica spettacolo”. Che è sempre esistita... chi ha il potere, o chi lo cerca, in tutte le epoche della storia si è spesso servito di effetti scenici, di cerimoniali, di circenses, di costruite e apparenti solennità. Ma ciò non significa che oggi i governanti in carica, o i candidati a “rappresentare il popolo sovrano”, debbano ridursi a patetiche macchiette in qualche squallido teatrino televisivo.

Da un po’ di tempo si comincia a dire che bisogna ritornare al “lavoro di base”, cioè alla concretezza quotidiana, al contatto vivo e reale con quella che, in modo un po’ sprezzante, si chiama la “periferia” – e a un dialogo con i cittadini (non “elettori” da ascoltare solo quando è il momento di votare) che non si basi solo su discutibili sondaggi. Si dice anche che servono discorsi più chiari, più sinceri e meno ambigui su intenzioni, progetti, programmi e metodi. Speriamo che sia vero, perché se così fosse la politica potrebbe, un po’ per volta, ritrovare una dignità e una credibilità che sembrava avere irrimediabilmente perso.


Lei dice: «Se sbagliare è umano, perseverare non è diabolico. È solo stupido». Definizione sublime che va bene sia per il singolo, sia per la collettività. E a proposito di stupidità e ignoranza – che non sono necessariamente la stessa cosa come sappiamo – si racconta che un noto politico italiano, parlando al suo staff di comunicatori (ed egli stesso, probabilmente, buon comunicatore), abbia detto: su 100 italiani quanti sono quelli intelligenti? 10? bene, noi lavoriamo per gli altri 90. Ha sbagliato qualcosa questo politico?

È solo uno? Forse uno ha avuto la sfacciataggine di dirlo... ma quanti altri lo pensano, e si comportano in conseguenza? La battuta non è originale, né nuova. Circola da tempo immemorabile fra i peggiori praticanti della comunicazione commerciale, dello spettacolo – e anche, ahimè, della cosiddetta informazione (per non parlare della politica).

I fatti, purtroppo, dimostrano che quel sistema può funzionare. Ma, per fortuna, nulla e nessuno ha mai dimostrato che funzioni meglio del suo contrario. Invece di cercare di addormentarci stimolando la stupidità che c’è in ognuno di noi, può essere più efficace – oltre che più onesto – risvegliare la nostra intelligenza (perché, se è vero che siamo tutti un po’ stupidi, quasi nessuno lo è completamente o in modo irrimediabile).

Trattare il prossimo (o il remoto) con rispetto, saper ascoltare, capire, dialogare, è molto più impegnativo che cercare di cavarsela con qualche improvvisazione, qualche effetto cosmetico, qualche facile messa in scena. Ma funziona. Costruisce rapporti di reciproca fiducia che crescono e si consolidano nel tempo. E così siamo ritornati al problema della fretta...

C’è anche un fenomeno che ho descritto nel capitolo dedicato al “circolo vizioso della stupidità”. A forza di trattare gli altri da stupidi si diventa stupidi – imprigionati nello stupidario che si è creato. Un meccanismo autodistruttivo che genera una incontrollata e incontrollabile moltiplicazione della stupidità.


La stupidità non la possiamo eliminare, bisogna conviverci. Antidoti: come e perché.

Qualcuno mi ha rimproverato perché agli “antidoti” è dedicato solo un breve capitolo alla fine del libro – che parla di metodi e concetti, non di soluzioni specifiche. Ma l’ho fatto apposta. Un “ricettario” non sarebbe solo banale. Sarebbe sbagliato. Non ci sono formule, regolette, soluzioni schematiche, pillole da inghiottire senza pensare, che possano risolvere il problema della stupidità. La ginnastica mentale non è fatta di esercizi ripetitivi.

È troppo facile dire che l’antidoto alla stupidità è l’intelligenza. Anche perché è difficile definire che cosa sia. Ma se ricordiamo l’etimologia (intelligere vuol dire capire) cominciamo a trovare un percorso interessante. La voglia di capire, la capacità di ascoltare, la coltivazione del dubbio (mai credere a ciò che sembra senza sapere perché), un’insaziabile curiosità, una buona dose di umorismo e di autoironia... sono tutte cose che aiutano a ridurre i danni della stupidità.

Bisogna anche saper sbagliare e imparare dai propri errori. Chi crede di non sbagliare mai è uno stupido particolarmente pericoloso.

La stupidità cresce e nidifica nel buio, nell’ambiguità, nelle complicazioni, negli intrighi e negli inganni. Teme la luce, la chiarezza, la sincerità e la semplicità. Non è la gorgone Medusa. Se la guardiamo in faccia, con occhi limpidi e senza equivoci, abbiamo fatto il primo passo per ridurre il suo potere.





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