Il potere della stupidità
Kali


Capitolo 7

Le Leggi di Cipolla


Uno dei testi più interessanti su questo argomento è stato scritto cinquant’anni dopo il libro di Walter Pitkin – e pubblicato due anni dopo Understanding Stupidity di James Welles. È il breve saggio Le leggi fondamentali della stupidità umana di Carlo M. Cipolla.

Il testo originale inglese, scritto nella prima metà degli anni ’70, aveva avuto solo una diffusione “privata” fino a quando, nel 1987, era stato pubblicato (senza il consenso dell’autore) dalla Whole Earth Review. Oggi è praticamente irreperibile. L’edizione di riferimento è quella italiana: un libro pubblicato da Il Mulino nel 1988 con il titolo Allegro ma non troppo che alla fine contiene anche le 37 pagine sulle Leggi fondamentali della stupidità umana. (Traduzione di Anna Parish – su cui si basano le citazioni in questo e in altri capitoli). È stato pubblicato anche in spagnolo e in altre lingue, ma non in inglese.

Le “leggi di Cipolla” sono note e citate anche in altri contesti. Non mi sembra necessario riprodurle, né riassumerle. A chi non le conoscesse, consiglio di leggere il suo testo (che, come altre opere dello stesso autore, unisce alla serietà dell’analisi una gradevole vena di umorismo). Mi limito qui ad alcuni commenti.

In parte si tratta di cose già note. Per esempio un fatto rilevato anche da altri autori (come il classico Rasoio di Hanlon di Robert Heinlein – vedi citazioni) e da quasi tutte le persone che hanno avuto occasione di ragionare su questo argomento: si tende sempre a sottovalutare “il numero di stupidi in circolazione”. (Prima “legge” di Cipolla).

È una constatazione che ognuno di noi può fare ogni giorno: per quanto coscienti possiamo essere del potere della stupidità, siamo spesso sorpresi dal suo manifestarsi dove e quando meno ce la aspettiamo.

Ne derivano due conseguenze, anche queste evidenti in ogni analisi coerente del problema. Una è che si sottovalutano troppo spesso i perniciosi effetti della stupidità. L’altra è che, per la loro imprevedibilità, i comportamenti stupidi sono ancora più pericolosi di quelli consapevolmente malvagi.

Ciò che manca in un’analisi così impostata (come nelle più diffuse osservazioni sull’argomento) è una valutazione della nostra stupidità – o comunque della componente di stupidità che esiste anche nelle persone più intelligenti. Su questo ritorneremo nel prossimo capitolo.

Uno dei meriti del saggio di Carlo Cipolla (come del libro di James Welles) è riconoscere il fatto che la stupidità di una persona “è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona”. (Seconda “legge” di Cipolla). Cioè è ugualmente diffusa in tutta l’umanità.

Questo è un punto fondamentale, che contraddice opinioni diffuse, ma è confermato da ogni attenta verifica sul tema. Non è solo o banalmente politically correct, ma è sostanzialmente vero, che nessuna categoria umana è più intelligente o più stupida di un’altra.

Non c’è alcuna differenza nel livello o nella frequenza della stupidità per genere, sesso, razza, colore, etnia, cultura, livello scolastico, eccetera (l’ignoranza può essere influenzata dalla stupidità, e viceversa, ma non sono la stessa cosa – vedi a questo proposito Tre sorelle della stupidità).

È fondamentale, nella teoria di Cipolla, la definizione che sta al centro del suo saggio come “terza (e aurea) legge”: «Una persona stupida è una persona che causa un danno a un’altra persona o gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo un danno». Il valore di questo criterio è che evita l’arduo problema di definire “in teoria” la stupidità (o l’intelligenza) mentre ne valuta gli effetti pratici.

È evidente che, in base a questo concetto, si possono definire diverse categorie di comportamento. Ovviamente a uno dei due estremi stanno le persone che realizzano un vantaggio per sé e per gli altri (perciò “intelligenti”) e all’opposto quelle che danneggiano gli altri e anche se stesse (perciò “stupide”). È chiaro anche che ci sono almeno due categorie “intermedie”. Una che fa danno agli altri con vantaggio per sé (Cipolla li definisce “banditi”) e l’altra che fa un danno a sé con vantaggio per gli altri.

Per quest’ultima categoria, la definizione “sprovveduti” è discutibile. Può essere ragionevole fin che ci si limita alle valutazioni di costi e guadagni secondo i canoni dell’economia “classica”. Ma può essere sbagliata quando si tratta di persone che consapevolmente si sacrificano per il bene altrui. Questo è un fatto piuttosto rilevante, su cui ritornerò poco più avanti (capitolo 8).

La cosa che più mi convince, nel metodo di Carlo Cipolla, è il concetto fondamentale che valuta la stupidità (o l’intelligenza) in base ai risultati dei comportamenti umani e non a difficili e discutibili definizioni teoriche. Per vari altri aspetti, invece, l’impostazione che sto seguendo è divers.a da quella proposta nelle sue “leggi”. Come vedremo alla fine del prossimo capitolo.
 

* * *

Sto intenzionalmente evitando ogni tentativo di offrire una definizione formale della stupidità. Sono convinto che possiamo ragionare efficacemente sull’argomento badando a come la stupidità si collega ad altri comportamenti. Oltre a osservare come funziona, qual è la natura delle sue cause e dei suoi effetti, quali sono i modi per capirla e come possiamo evitare o ridurre le sue perniciose conseguenze.

Tuttavia, per chi è interessato ad averla, una definizione di James Welles si adatta allo scopo meglio di qualsiasi altra che io abbia mai letto. È online, con i miei commenti. C’è una definizione della stupidità?

In sostanza, si basa su un fatto fondamentale: il problema della stupidità è essenzialmente connesso all’informazione, alla comunicazione e alla conoscenza. Gli strumenti più importanti per contrastarla sono l’ascolto, la curiosità e il dubbio. Come spiegato in tutto questo libro e in particolare nel capitolo conclusivo sugli antidoti.




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