Lo chiamano splog settembre 2006 |
Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it |
|
|
||
Disponibile
anche in pdf Non pensavo di dover ritornare sul tema dei blog (vedi Blogologia e Blog e umorismo). E neppure su quello dello spam (su cui ho scritto molte volte) perché è unepidemia diagnosticata da più di ventanni, che continua ad aggravarsi, su cui cè poco da aggiungere se non che le terapie rimangono deboli (e la prevenzione inadeguata). Ma il potere della stupidità trova sempre nuove manifestazioni. Si tratta di una malattia che alcuni chiamano blam, ma più spesso è definita splog. Già il nome suscita un certo disgusto, fra il vomito e lo sputo, ma la cosa è ancora peggio. In realtà non è uninfezione nuova, ma un diverso modo di insediarsi di un agente patogeno già noto. In Wired del settembre 2006 cè un articolo di Charles C. Mann intitolato Spam + Blogs = Trouble. Cè una voce dedicata a questo argomento in Wikipedia e anche una sintesi in italiano. Se ne parla e se ne discute qua e là in rete. La cosa non è nuova. Si sta sviluppando dal 2003 (anche se solo nel 2005-2006 ha assunto dimensioni così estese da diventare una grave epidemia). Devo confessare che, finora, anchio (come Wired) non avevo trovato il tempo di approfondire quale fosse il motivo per cui si aggirano in rete strani messaggi (palesemente spam) pieni di testo incoerente e incomprensibile. È chiaro che sono imbrogli, ma può essere interessante capire come funzionano. Si tratta di finti blog (o anche di finti siti web) infarciti di parole (senza alcun senso o nesso) nel tentativo di ingannare i motori di ricerca e così creare traffico. E in più ci sono anche raffiche di e-mail (cioè spam nel senso storico della parola) che tentano di attirare qualche incauto lettore nella trappola. A differenza di molti propalatori di spam, in questo caso lautore del misfatto non ha qualcosa da vendere, né organizza truffe in proprio. Si limita a vendere lo spazio ad altri, da cui si fa pagare. Che ci siano imbroglioni e pataccari disposti a usare uno strumento del genere non è sorprendente. È più strano che qualcuno ci caschi. Ma, come il solito, in ogni genere di spam su larga scala, il gioco sta nei grandi numeri. Per quanto poche possano essere le persone che si lasciano ingannare, ne basta una su mille per dare allorganizzatore dellinghippo un immeritato guadagno. Per ora sembra che il contagio sia soprattutto negli Stati Uniti, ma potrebbe metterci poco ad attraversare loceano. Già quegli strani intrugli arrivano nelle nostre mailbox (e di solito sfuggono ai filtri antispam). Ma le cattive idee trovano spesso imitatori. Sarebbe facile per qualche sciagurato italiano copiare quella pessima idea o inventare qualcosa di ancora peggio. O forse è già accaduto? Forse vedremo proclamare in qualche convegno, o predicare da qualche cattedra universitaria, che è stata scoperta una nuova tecnica di marketing? (Come si è fatto per il cosiddetto e-mail marketing, che in pratica è quasi sempre solo spam). Naturalmente il vero marketing è tuttaltra cosa, ma molti si sono dati un gran daffare per farla diventare una parola oscena vedi Il (tentato) suicidio del marketing. Quali sono i possibili rimedi? Uno, ovviamente, è che i motori di ricerca si sappiano difendere. Conoscono il problema ed è sperabile che riescano, se non a risolverlo del tutto, a evitarne le peggiori conseguenze. Ma non basta. Perché anche se (come spesso accade) linganno fosse poco efficace, e alla fine chi paga lo spazio così ottenuto avesse risultati deludenti, i furbacchioni dei trucchi tecnici e dellimbroglio umano sanno come produrre contatti falsi e così ingannare chi li paga abbastanza a lungo per poter poi scappare con il maltolto, magari ripresentandosi con una diversa identità. O potrebbero semplicemente trovare nuove vacche da mungere per sostituire quelle che hanno perso. Cioè, anche quando alcuni sono vaccinati, ce ne sono in giro altri che si possono contagiare e così si continua a diffondere linfezione. Ci possono essere tecnologie di protezione. Speriamo che funzionino. Ma lincessante guerra fra le tecniche di aggressione e quelle di difesa dura dalletà della pietra. E con le tecnologie di oggi (sempre più complicate e sempre meno funzionali) è facile creare più problemi di quanti si riescono a risolvere. Quali sono le risorse fondamentali? Ovviamente linformazione e la cultura. Ma la formazione è mal concepita. Troppa enfasi sulle tecnologie (spesso mal progettate e peggio applicate). Scarsa attenzione ai valori umani fra cui ci sono anche il buon senso e lattenzione a non farsi imbrogliare troppo facilmente. Con un po di esplorazione in rete si trovano varie informazioni e commenti su questo tema. E anche cose piuttosto sconcertanti, come per esempio questa. Oltre agli sploggatori che cercano di vendere i loro perversi servizi, cè anche chi offre scatole di software fai da te. Il 14 luglio 2006 un gruppo di studio dellUniversità del Maryland, Baltimora, ha pubblicato un articolo intitolato Software from Hell che contiene, oltre a questo, altri otto esempi di "infernali" prodotti commerciali per la produzione di splog, in vendita a prezzi variabili da 127 a 197 dollari. Larticolo, ovviamente, osserva che chi avesse la dabbenagine di comprare e usare uno di quei software si farebbe del male e non diventerebbe ricco. Mi sembra che ogni altro commento sia superfluo. Cè una vignetta (non è chiaro chi ne sia lautore) pubblicata da Gnomz e riprodotta il 10 novembre 2005 da un sito canadese che si occupa di insegnamento. «Che cosa si ottiene incrociando un blogger con lAmerica delle imprese? Splog.» Detta così, laffermazione è esagerata. Il mondo delle imprese, in America e altrove, ha cose più importanti di cui occuparsi. Ma è vero che (approffittando della scarsa preparazione, o frettolosa distrazione, delle imprese) molti si affanano a proporre ogni sorta di soluzioni inutili (o dannose) con il pretesto che sono nuove. Anche quando tecnicanente non sono splog, questi maneggi possono essere alrettanto devianti. Per esempio luso di blog quando non cè motivo di farlo e una proliferazione di presunte ricette magiche per ottenere posizioni favorevoli nei motori di ricerca (che non è nuova, ma continua a imperversare). Eccetera. Il tutto a scapito di cose molto più utili (ma meno semplicistiche e più impegnative) che le imprese potrebbero (e dovrebbero) fare in rete.
|
||