Offline Riflessioni a modem spento


L’interattività
non è
un automatismo

aprile 2002

also available in English



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Un piccolo episodio recente riguarda l’ennesimo virus. Uno di quei vermetti più o meno maligni che si aggirano da quindici anni. Pare che ce ne siano cinquantatremila – uno in più non è certo una “notizia”. Ma c’è un dettaglio che può suggerire qualche meditazione.

Questo worm, che si chiama w32.klez.e@mm, ha un comportamento strano e astuto. Quando riesce a infilarsi nel computer di chi distrattamente si lascia contagiare, come altri suoi simili si “moltiplica” mandando in giro messaggi e-mail con allegati infetti. Ma con una differenza. Colloca indirizzi rubati nel campo from, cioè fa sembrare che i messaggi vengano da qualcuno che non ha mai contratto l’infezione e che è ignaro di ciò che sta accadendo... ma poi riceve segnalazioni di un problema inesistente... e rimane piuttosto confuso fino a quando riesce a trovare una spiegazione.

Sarebbe come se qualcuno fosse considerato la causa di un contagio quando non è neppure un “portatore sano”. Fra i vari effetti bizzarri ci sono i segnali di indirizzi errati (undeliverable) per messaggi mai spediti. E ci sono le segnalazioni di antivirus che lanciano “falsi allarmi” a chi non ha mai contratto l’infezione. Quando l’ho fatto notare ad alcuni tecnici, mi hanno risposto con un po’ troppa faciloneria: «È inevitabile. L’antivirus non sa distinguere il falso mittente».

Qui casca l’asino. La domanda non è se può, ma come deve risolvere il problema. Se l’automatismo è troppo stupido per fare il suo mestiere, basta un semplice intervento umano. Sarebbe facile (dato che gli antivirus conoscono questa bestiolina) modificare il messaggio di avvertimento per dare una corretta informazione invece di un falso allarme. Con un vantaggio per le persone – e anche per chi produce l’antivirus, o chi gestisce il sistema di difesa, che così si farebbe stimare dimostrando la sua capacità di servizio.

Perché è raro che ci siano soluzioni intelligenti?  Perché la cultura dominante considera le persone come accessori dei computer o dei software (o dei siti web) mentre dovrebbe fare il contrario.

Questo episodio, in sé, è una piccola cosa. Sarebbe trascurabile se non fosse un sintomo di una mentalità diffusa. E così siamo arrivati al punto. Che cosa vuol dire “interattività”?  Era importante porsi questa domanda fin dalle origini della rete. E oggi lo è più che mai.

Le risposte automatiche, talvolta, possono essere utili. Se sono ben concepite, se danno risposte adeguate e se non ostacolano la risposta umana. Avviene troppo spesso il contrario. Perché si “tira al risparmio” cercando di ridurre le risorse umane. Perché si ammucchiano automatismi fastidiosi e mal concepiti. Che siano un disastro è ovvio. Perché si continuino ad accumulare è poco comprensibile.

Uno dei motivi è che si è mal capito, o si vuole mal capire, il concetto di interattività. Un automatismo non è più “interattivo” di un interruttore che accende la luce. E non diventa più “interattivo” se invece di un interruttore usiamo una connessione remota o un “comando vocale” (con probabili disfunzioni che sarebbero comiche se non fossero pericolose).

La funzione dell’informatica (e ancor più della telematica) è migliorare la nostra vita, liberare energie umane, toglierci compiti banali e ripetitivi per lasciarci liberi di fare cose più interessanti. L’imperversare di automatismi e invasività ha l’effetto contrario. Il che, per dirlo in una parola, è stupido.

L’interattività che conta è una sola: la relazione fra persone. Le macchine sono utili solo quando servono a questo scopo. Sono tanto più efficienti e funzionali quanto meno ci fanno pesare la loro presenza. Questo è un concetto molto semplice – anche se metterlo in pratica richiede tempo, pazienza e continua attenzione. Può sembrare strano che si debba continuare a ripeterlo. Ma i quotidiani disastri nell’uso delle tecnologie dimostrano che non lo si è imparato abbastanza, che non lo si pratica con sufficiente impegno.

Così come ai tempi antichi dei grandi computer nelle “sale macchine” campeggiava la scritta THINK (e in alcuni uffici la saggia sigla KISSkeep it simple, stupid) oggi sarebbe bene se tutti quelli che si occupano di comunicazione, di informazione e di informatica recitassero con convinzione, ogni giorno, il mantra fondamentale: gli strumenti al servizio delle persone – non viceversa.



Un’altra fastidiosa complicazione nella vicenda del virus “klez” è l’imperversare di spamming da parte di qualcuno che tenta di approfittare dell’occasione per offirire presunti rimedi e bombarda ripetutamente di ingombranti messaggi – indesiderati quanto inutili – le mailbox di persone che non sono mai state contagiate.



A proposito di meditazioni che possono derivare da virus reali o immaginari vedi anche La lezione di un finto virus.

Per quanto riguarda l’interattività, mi scuso con quel lettori che hanno già letto altre mie osservazioni su questo tema, in libri, articoli eccetera. Ne parlo da sette o otto anni (e ne ho scritto di nuovo anche recentemente – vedi per esempio il capitolo 17 di L’umanità dell’internet). Ma l’argomento è più che mai di attualità. Come conferma, per esempio, un articolo pubblicato da Gerry McGovern il 18 marzo 2002 The myth of the interactive internet.

 



indice
indice della rubrica


Homepage Gandalf
home