Offline Riflessioni a modem spento


Maremoto, comunicazione
e stupidità

dicembre 2004



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Lo scopo di queste osservazioni, naturalmente, non è aggiungere parole inutili al dolore, allo sgomento, alla preoccupazione suscitate dalla catastrofe che ha investito i paesi affacciati sull’oceano indiano. E neppure al dibattito, che giustamente sta nascendo, su quanto sarebbe stato possibile attenuare quella tragedia con un adeguato sistema di informazione.

Ma un fatto è chiaro. Un preavviso sarebbe stato possibile. Probabilmente nessuno sarà mai in grado di calcolare esattamente quante vite avrebbe salvato, ma è evidente che dal momento in cui i sismografi hanno registrato il terremoto sottomarino e quello in cui l’onda ha investito le coste è passato un tempo sufficiente per cui, se fossero state avvertite, molte persone avrebbero potuto mettersi in salvo.

Le giustificazioni tecniche, politiche, economiche, organizzative possono essere infinite. Ma è dolorosamente palese che il disastro è dovuto, il larga misura, a due spaventose forze distruttive: la mancanza di comunicazione e il potere della stupidità.

Come è stato scritto molte volte in queste pagine (e ripetuto in una recente intervista) «non basta l’informazione per portare acqua a chi sta morendo di sete, cibo a chi sta morendo di fame, cure e assistenza a chi sta morendo di malattia – o per fermare la violenza dei massacri e delle repressioni. Ma un’informazione diffusa, in cui non solo alcuni centri privilegiati, ma tutti possono comunicare, può essere di enorme aiuto nell’organizzare soccorsi e prevenzione».

Possiamo accettare il fatto che la geologia e la sismologia non fossero in grado di prevedere la possibilità di un terremoto così violento. Ma è imperdonabile che non esistesse un sistema adeguato di allarme in grado di diffondere la notizia dopo che il fenomeno era stato constatato.

Qualcuno pensava che un sistema di quel genere fosse troppo costoso. Anche da un punto di vista meramente economico, questa visione si è rivelata estremamente stupida. Il costo dei (difficili) rimedi a posteriori è enormemente più grande di quanto potesse richiedere la prevenzione.

Il problema, palesemente, non è stato considerato una priorità politica. Basta osservare quanto tempo ed energie la politica sprechi su temi assai meno rilevanti per capire quanto sia sconfinata la stupidità del potere.

È probabile che le ostilità e le divergenze fra i governi e i gruppi di potere dei diversi paesi coinvolti abbiamo ostacolato lo sviluppo di adeguati sistemi di informazione. Non è certo questo l’unico esempio di come la miopia, l’egoismo e l’arroganza di interessi ristretti contrastino non solo con il trascurato “bene comune” su scala planetaria, ma anche con il benessere, se non la sopravvivenza, di intere popolazioni in ogni grande o piccola parte del globo.

Per quanto riguarda le tecnologie, abbiamo una conferma particolarmente drammatica di due fatti palesi da molto tempo. Uno è che si sprecano enormi risorse nello sviluppo di tecnologie stupide (inutili e spesso dannose) a scapito di quelle utili o necessarie. L’altro è che la debolezza e l’inefficienza dei sistemi di comunicazione, imposte da censure, concentrazioni, speculazioni, controlli e repressioni di ogni specie, si traducono in un grave danno per tutti.

Quando avremo finito di piangere i morti – e cominciato il lungo e difficile lavoro di ricostruzione – anche questa tragedia rischierà di cadere, come tante altre, nel dimenticatoio. O forse, questa volta, possiamo sperare che si tenti di trarne una lezione?




Post scriptum
17 gennaio 2005

Sta cominciando un po’ a diffondersi la percezione che in questo disastro ci siano stati gravi problemi di comunicazione. Notizie tempestive, si comincia a capire, avrebbero potuto salvare più di metà delle vittime. Ma manca una percezione chiara della sostanza del problema – e di quanto la mancanza di comunicazione stia ancora creando enormi difficoltà in tante altre drammatiche situazioni.

Un articolo sul New Yorker del 17 gennaio 2005 racconta il caso di Komiticiavadi, un villaggio di pescatori settantacinque chilometri a sud di Ciennai, la capitale dello stato indiano Tamil Nadu, in una zona fortemente colpita dal maremoto.

Il signor Gowind, responsabile del locale panciayat (un genere di organizzazione diffuso nell’India rurale) fu chiamato due volte sul telefono cellulare da sua moglie, che era a Ciennai. La prima per dirgli che aveva sentito una scossa di terremoto. La seconda per avvertirlo che Ciennai si stava allagando. Gowind capì il problema, si precipitò sulla spiaggia agitando le braccia e gridando a tutti di allontanarsi. A Komiticiavadi ci furono danni gravi, ma nessuna vittima, mentre nei villaggi vicini ci furono centinaia di morti, feriti e dispersi.

Gli abitanti di Komiticiavadi non sono usciti indenni dalla catastrofe. Le loro case sono distrutte, le barche e le reti da pesca perdute. La ricostruzione sarà faticosa e difficile. Ma sono vivi.

Ci sono altri "piccoli" casi in cui l’intelligenza e la prontezza di qualcuno ha salvato molte vite. Ma se la brillante signora di Komiticiavadi ha avuto pochi minuti (la seconda volta) per mettere in allarme il suo attento marito, un segnale partito da dove si era registrato il terremoto sottomarino, o si era constatata la formazione dell’onda, sarebbe arrivato con ore di anticipo.

La scarsità di risorse tecniche e di comunicazione è certamente un problema. Ma i danni peggiori sono stati provocati dalla disattenzione, dall’incuria, dall’egoismo, dall’incapacità di pensare. Un’ennesima, dolorosa conferma di quanto sia grande, e pericoloso, il potere della stupidità.


 


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