Lo scopo di queste osservazioni, naturalmente, non
è aggiungere parole inutili al dolore, allo sgomento,
alla preoccupazione suscitate dalla catastrofe che ha
investito i paesi affacciati sulloceano indiano. E neppure
al dibattito, che giustamente sta nascendo, su quanto sarebbe
stato possibile attenuare quella tragedia con un adeguato
sistema di informazione.
Ma un fatto è chiaro. Un preavviso sarebbe stato
possibile. Probabilmente nessuno sarà mai in grado di
calcolare esattamente quante vite avrebbe salvato, ma
è evidente che dal momento in cui i sismografi hanno
registrato il terremoto sottomarino e quello in cui londa ha
investito le coste è passato un tempo sufficiente per
cui, se fossero state avvertite, molte persone avrebbero
potuto mettersi in salvo.
Le giustificazioni tecniche, politiche, economiche,
organizzative possono essere infinite. Ma è
dolorosamente palese che il disastro è dovuto, il
larga misura, a due spaventose forze distruttive: la mancanza
di comunicazione e il potere della
stupidità.
Come è stato scritto molte volte in queste pagine
(e ripetuto in una recente intervista)
«non basta linformazione per portare acqua a chi sta
morendo di sete, cibo a chi sta morendo di fame, cure e
assistenza a chi sta morendo di malattia o per fermare la
violenza dei massacri e delle repressioni. Ma uninformazione
diffusa, in cui non solo alcuni centri privilegiati, ma tutti
possono comunicare, può essere di enorme aiuto
nellorganizzare soccorsi e prevenzione».
Possiamo accettare il fatto che la geologia e la sismologia
non fossero in grado di prevedere la possibilità di un
terremoto così violento. Ma è imperdonabile
che non esistesse un sistema adeguato di allarme in grado di
diffondere la notizia dopo che il fenomeno era stato constatato.
Qualcuno pensava che un sistema di quel genere fosse
troppo costoso. Anche da un punto di vista meramente
economico, questa visione si è rivelata estremamente
stupida. Il costo dei (difficili) rimedi a posteriori
è enormemente più grande di quanto potesse
richiedere la prevenzione.
Il problema, palesemente, non è stato considerato
una priorità politica. Basta osservare quanto tempo ed
energie la politica sprechi su temi assai meno rilevanti per
capire quanto sia sconfinata la
stupidità del potere.
È probabile che le ostilità e le divergenze
fra i governi e i gruppi di potere dei diversi paesi
coinvolti abbiamo ostacolato lo sviluppo di adeguati sistemi
di informazione. Non è certo questo lunico esempio di
come la miopia, legoismo e larroganza di interessi
ristretti contrastino non solo con il trascurato bene
comune su scala planetaria, ma anche con il benessere,
se non la sopravvivenza, di intere popolazioni in ogni grande
o piccola parte del globo.
Per quanto riguarda le tecnologie, abbiamo una conferma
particolarmente drammatica di due fatti palesi da molto
tempo. Uno è che si sprecano enormi risorse nello
sviluppo di tecnologie stupide (inutili
e spesso dannose) a scapito di quelle utili o necessarie. Laltro
è che la debolezza e linefficienza dei sistemi di
comunicazione, imposte da censure, concentrazioni,
speculazioni, controlli e repressioni di ogni specie, si
traducono in un grave danno per tutti.
Quando avremo finito di piangere i morti e cominciato
il lungo e difficile lavoro di ricostruzione anche questa
tragedia rischierà di cadere, come tante altre, nel
dimenticatoio. O forse, questa volta, possiamo sperare che si
tenti di trarne una lezione?
Post scriptum
17 gennaio 2005
Sta cominciando un po a diffondersi la percezione che
in questo disastro ci siano stati gravi problemi di comunicazione.
Notizie tempestive, si comincia a capire, avrebbero potuto salvare
più di metà delle vittime. Ma manca una percezione
chiara della sostanza del problema e di quanto la mancanza
di comunicazione stia ancora creando enormi difficoltà
in tante altre drammatiche situazioni.
Un articolo
sul New Yorker del 17 gennaio 2005 racconta il caso di
Komiticiavadi, un villaggio di pescatori settantacinque chilometri
a sud di Ciennai, la capitale dello stato indiano Tamil Nadu,
in una zona fortemente colpita dal maremoto.
Il signor Gowind, responsabile del locale panciayat (un
genere di organizzazione diffuso nellIndia rurale) fu chiamato
due volte sul telefono cellulare da sua moglie, che era a Ciennai.
La prima per dirgli che aveva sentito una scossa di terremoto.
La seconda per avvertirlo che Ciennai si stava allagando. Gowind
capì il problema, si precipitò sulla spiaggia
agitando le braccia e gridando a tutti di allontanarsi. A
Komiticiavadi ci furono danni gravi, ma nessuna vittima, mentre
nei villaggi vicini ci furono centinaia di morti, feriti e dispersi.
Gli abitanti di Komiticiavadi non sono usciti indenni dalla
catastrofe. Le loro case sono distrutte, le barche e le reti da pesca perdute.
La ricostruzione sarà faticosa e difficile. Ma sono vivi.
Ci sono altri "piccoli" casi in cui lintelligenza e la prontezza
di qualcuno ha salvato molte vite. Ma se la brillante signora di
Komiticiavadi ha avuto pochi minuti (la seconda volta) per mettere in
allarme il suo attento marito, un segnale partito da dove si era registrato
il terremoto sottomarino, o si era constatata la formazione
dellonda, sarebbe arrivato con ore di anticipo.
La scarsità di risorse tecniche e di comunicazione
è certamente un problema. Ma i danni peggiori sono stati
provocati dalla disattenzione, dallincuria, dallegoismo,
dallincapacità di pensare. Unennesima,
dolorosa conferma di quanto sia grande, e pericoloso,
il potere della stupidità.