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I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
aprile 2006


La sindrome cinese
ovvero
censure e divieti in Italia



I siti web internazionali di “casinò”, lotterie e scommesse sono stati resi inaccessibili dall’Italia. La notizia, in sé, non sembra particolarmente interessante – né preoccupante. Ma mette in moto un meccanismo repressivo che può avere conseguenze molto gravi.

Si dice che molti cinesi (quando hanno i soldi e la possibilità di farlo) amino il gioco d’azzardo. E anche parecchi italiani... ma non si tratta di questo. La somiglianza di ciò che accade in Italia con la situazione in Cina riguarda un altro, e molto più importante, problema: la libertà di informazione e di comunicazione.

Prima di arrivare al nodo centrale della questione, vediamo in sintesi che cosa è accaduto.

  • Una legge italiana stabilisce che le lotterie, le scommesse e i giochi d’azzardo possono essere gestiti solo da enti di stato o da chi ha un’autorizzazione governativa. Questa norma contiene una sostanziale ambiguità: se si tratti di “ordine pubblico” (o protezione dei cittadini) oppure di garantire all’amministrazione statale le entrate che derivano dalla gestione o tassazione di quelle attività.

  • Nel 2003 una sentenza della corte di giustizia europea aveva cercato di risolvere una disputa fra gli stati membri (in particolare l’Italia) e le imprese (prevalentemente britanniche) che gestiscono legalmente scommesse e altre forme di gioco d’azzardo. Aveva stabilito che se un servizio è legale in un paese dell’Unione europea non può essere vietato in un altro, se non nel caso che si tratti di problemi di “ordine pubblico”.

  • Nel 2004 una sentenza della corte di cassazione italiana ha stabilito che si tratta di un problema di “ordine pubblico” e che perciò i servizi di scommesse (anche se largamente gestiti in un altro paese) sono vietati se non autorizzati dal governo italiano.

  • Poco dopo vari tribunali italiani, in prima istanza e in appello, hanno smentito quella decisione della cassazione, e perciò assolto gli internet service provider e internet point che consentono l’accesso ai siti (legali) inglesi, affermando che non si tratta di “ordine pubblico” ma di una scusa per mantenere il monopolio di stato.

  • L’amministrazione finanziaria ha chiesto e ottenuto dal parlamento italiano una legge del dicembre 2005 che impone il blackout, cioè obbliga i provider a impedire l’accesso ai siti compresi in una “lista nera” (che non distingue fra siti legali o non nel paese d’origine). La concentrazione strutturale della rete italiana rende facile l’immediata applicazione, praticamente erga omnes, di un provvedimento di quel genere.

  • Ci sono già le prime sentenze di tribunali italiani che dichiarano illegale anche questa disposizione, mentre ovviamente continua la disputa nell’Unione Europea fra le autorità italiane e gli operatori inglesi di gambling.

  • Intanto, naturalmente, continuano in Italia le “scommesse clandestine” (abitualmente gestite dalla criminalità organizzata). E continua, praticamente indisturbata, l’attività online dei truffatori che promettono false vincite, o diffondono altre trappole, cambiando continuamente indirizzo (come è abituale per chi fa spam – e, anche fuori dalla rete, per i truffatori che cambiano spesso sede e identità).

Fin qui... si tratta di una delle tante questioni settoriali fra norme o divieti nei singoli paesi e libertà di mercato su scala internazionale. E di un argomento poco interessante per chi come me (e credo molti dei miei lettori) non è appassionato di lotto, lotterie, tombole, scommesse e giochi d’azzardo. Se tanti italiani hanno “il vizio dei gioco”, possiamo anche dirci che non è male se ciò contribuisce un po’ a sostenere le nostre disastrate finanze pubbliche. Così come possiamo convincerci che, se vogliamo libertà di scambio e di commercio, non possiamo negarla ai legittimi operatori di altri paesi. Tutta la questione, comunque, è un dettaglio, rispetto ad altre e più rilevanti necessità di trovare un accordo fra interessi nazionali e rapporti europei.

Ma è in gioco un problema molto più serio. Siamo scandalizzati perché in Cina (e in altri paesi dove non c’è libertà di informazione e di opinione) ci sono blocchi di accessi all’internet (realizzati anche con la vergognosa collaborazione o connivenza di imprese americane di tecnologia o di servizi online). Ma non badiamo al fatto che la stessa cosa sta succedendo in Italia.

Le forme di repressione e censura continuano a crescere e moltiplicarsi. A questo proposito c’è un comunicato di ALCEI del 28 febbraio 2006. Preceduto da un altro della stessa associazione, che spiega come ci sia un ulteriore appesantimento degli strumenti di divieto e censura anche per altre ragioni – fra cui, come sempre, il terrorismo e la presunta “protezione dei minori”. (Vedi anche un recente articolo sulla prevenzione e repressione delle violenze).

Qualunque sia il motivo o il pretesto, con questo e altri provvedimenti si è stabilito un “precedente” molto grave. Un intervento del parlamento o del governo può provocare l’immediato blocco dell’accesso, per tutti gli italiani, a un sito web o a un’altra risorsa online. (Può bastare un decreto-legge – magari, come è accaduto in altri casi, di immaginaria “urgenza” – o una delle infinite “leggine” o norme spesso “occultate” nei dettagli di altre disposizioni).

Continuando su questa strada si può arrivare a una situazione in cui lo stesso risultato si può ottenere con quella perversa e inammissibile facilità con cui si sono già verificati molti altri abusi, dalle intercettazioni della corrispondenza privata agli insensati sequestri di computer o di server.

È clamoroso (quanto ambiguo) il silenzio degli organi di garanzia italiani (come dei “grandi mezzi” di informazione e del mondo politico) su questa violazione dei diritti e della libertà dei cittadini nel nostro paese.

In parole semplici – si tratta di una indiscriminata e incontrollata possibilità di censura. Che può essere, per chi ha i mezzi e le risorse, contrastata con lunghi e complessi ricorsi legali... ma intanto il blocco rimane. Fin che si tratta di qualche lotto o lotteria, o di poker o roulette, o di scommesse sul calcio o sui cavalli, possiamo anche pensare che sia un dettaglio. Ma si è stabilito un principio, con un metodo duro e violento di applicazione, che con ogni sorta di pretesti può immediatamente “oscurare”, cioè rendere inaccessibile, qualsiasi informazione od opinione sgradita.

È giusto continuare a preoccuparsi delle violazioni dei diritti civili e della libertà in Cina e in molti altri paesi. Ma non ignorare il fatto che queste cose accadono in Italia.





Post scriptum
giugno 2006

Come era facilmente prevedibile, non solo continuano le “scommesse clandestine” e vari imbrogli in Italia, ma anche in rete prosegue (praticamente indisturbato) lo spamming dei truffatori di mezzo mondo.

Intanto recenti “scandali” e indagini giudiziarie di varia specie (vedi Scandali e sequestri), con la tardiva “scoperta” di manovre e maneggi esistenti da molti anni, mettono in evidenza quanto poco corrette e trasparenti siano le situazioni nel gioco “autorizzato”.





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