Convegno La Repubblica sull’internet – 12 Marzo 1998 – relazione di Giancarlo Livraghi


1) Una rivoluzione copernicana


Credo che in tutto ciò che concerne la rete sia venuto il momento di una "rivoluzione copernicana". Le voci di buon senso, esperienza e approfondimento non sono ancora riuscite a prevalere sul rumore dominante delle illusioni – ma cominciano a farsi strada.

Non ho la pretesa di affermare "verità assolute". Non ho l’arroganza di affermare che un metodo, secondo me molto più efficace, sia l’unico possibile. Si possono ottenere risultati, più o meno validi, con qualsiasi impostazione; e le nuove realtà di comunicazione, che sono ancora in una fase "infantile", sono così complesse e mutevoli che nessuno ne può proporre un’interpretazione rigida. Ma credo che (anche alla luce dei fatti e delle esperienze) molte ipotesi, che si davano per certe, si siano rivelate false; e che un’impostazione meno superficiale offra molte più possibilità di ottenere risultati concreti e durevoli.

Perdonatemi una piccola digressione filosofica. Nonostante le numerose conferme non esiste una "prova assoluta" del fatto che la terra gira intorno al sole; anzi si è determinato che una corretta definizione dei movimenti cosmici non corrisponde esattamente a quella affermazione. La superiorità della teoria copernicana su quella tolemaica non sta tanto nel fatto che sia "vera", quanto nella sua maggiore utilità: definisce in modo più semplice i movimenti dei "corpi celesti", ne rende più facile e significativa l’interpretazione.

La teoria tolemaica è solo apparentemente semplice. Si basa su una nostra unilaterale percezione: vediamo il sole sorgere e calare, vediamo le stelle spostarsi in quella che sembra una "volta celeste", perciò il nostro sistema percettivo ci rende "facile" pensare che tutto giri intorno alla terra. Così come chi non osserva bene la curva dell’orizzonte trova "comodo" pensare che la terra sia piatta e che ci sia una nozione assoluta di "alto" e "basso". Ma quando vogliamo capire davvero la natura dei fenomeni, per poterli interpretare e ricavarne deduzioni utili, queste visioni di prospettiva limitata non funzionano più; dobbiamo trovare teorie più efficienti.

Una persona di cento anni fa, se vedesse il mondo di oggi, farebbe non poca fatica a capire una cultura umana in cui sono normali e abituali cose allora inimmaginabili: la radio, la televisione, l’aeroplano – e anche il fatto che quasi tutti sono in grado di leggere un libro o un giornale (anche se non tutti lo fanno abitualmente). Da meno di un secolo la struttura della comunicazione (quindi la struttura stessa della società) è cambiata radicalmente. Si tratta di un tempo brevissimo: un batter d’occhio nella storia dell’umanità. Nonostante l’enorme quantità di studi sull’argomento, la verità è che non abbiamo avuto il tempo di capire.

La crisi profonda in cui si trovano oggi tutti i mezzi di comunicazione tradizionali (in particolare la stampa e la televisione) non deriva dalla spinta esterna delle nuove tecnologie e della rete, ma da una crisi evolutiva. Esaurita la spinta iniziale, che ha portato alla larghissima diffusione attuale della radio e della televisione (e, nonostante le perenni lamentele, a una diffusione della stampa molto maggiore che in passato) ormai è acuta la percezione che occorre cambiare strada – e non è affatto sorprendente che nessuno sappia esattamente come.

Con le tecnologie digitali molto può cambiare, sia nei mezzi audiovisivi, sia nella carta stampata. Ma non può essere la tecnologia a trovare le soluzioni. A vincere saranno le idee editoriali, i valori di contenuto, la fantasia e il coraggio di chi saprà trovare nuovi percorsi. Nulla lascia pensare che radio, televisione e stampa (compresi i libri) debbano morire, o andare in declino. Dovranno, semplicemente, evolversi e trasformarsi.

Assai diverso è il caso della rete, che non è un’evoluzione dell’esistente ma un sistema completamente nuovo. Inevitabile, quanto sbagliata, la tentazione di ricondurla nei binari di qualcosa che già conosciamo. Le linee di separazione fra i vari mezzi, vecchi e nuovi, potranno non essere rigide (del resto non lo sono mai state) e ci potranno essere, come ci sono, aree di sovrapposizione; ma non tali da confondere le diverse identità.

L’errore tolemaico (ancora dominante, anche se comincia a perdere terreno) sta nell’inguaribile tendenza a osservare la rete come se fosse un "mezzo di massa"; e addirittura nel tentativo di "forzarla" a seguire le logiche dei mezzi cui siamo abituati.

Possiamo "in assoluto" affermare che l’uso di logiche broadcasting non è possibile in rete? No. Quasi tutto è "possibile". Se qualcuno vuole forzare la rete a comportarsi come ciò che non è, può anche darsi che in parte ci riesca; così come un tolemaico può arrivare a spiegare le stagioni, le maree, i movimenti dell’atmosfera... anche prevedere un’eclissi: ma in modo enormemente più complesso e faticoso, e molto meno efficace, di un copernicano. Ed è facile che sbagli i conti... anche se non è del tutto chiaro perché Cristoforo Colombo fosse partito verso le Indie in base a un calcolo sbagliato del diametro del pianeta, col rischio di morire di fame e di sete in mezzo all’oceano se non ci fosse stato un continente di cui ignorava l’esistenza. Così come molti oggi, che credono di sapere dove stanno andando, si trovano poi in mezzo al nulla, o in un posto completamente diverso da quello che si aspettavano.

C’è anche una tendenza, bizzarra quanto diffusa, a rovesciare le priorità. L’eccessiva enfasi sulle tecnologie porta a un’assurda sequenza soluzione-problema. Sarebbe come se qualcuno dicesse "devo prendere il treno, ma non so dove vado" invece di dire "devo essere a Roccacannuccia alla tal ora, quindi deciderò con quale mezzo andarci".

È ovvio (ma quotidianamente tradito dalla prassi) che l’unica procedura ragionevole non è partire dalle tecnologie, cioè dalle soluzioni, ma esattamente il contrario: partire dai nostri problemi, risorse, intenzioni e strategie – e poi cercare le soluzioni più adatte. Non dire "devo metter su un sito web e poi forse capirò a cosa serve" ma "devo capire quali mie esigenze o intenzioni possono essere soddisfatte dalla rete e poi stabilire quali strumenti userò; uno dei quali potrebbe anche essere un sito web". Ma le regole del sistema sono dettate dallo strapotere delle grandi software house tolemaiche, convinte che tutto l’universo giri intorno al loro prodotti; soprattutto dedicate a cercare di farlo credere a noi, per far crescere i loro già pingui profitti.

La stessa "logica rovesciata" che si segue nell’informatica tende a trasferirsi, ancora più assurdamente, nella comunicazione in rete; che non è (non mi stancherò mai di ripeterlo) una tecnologia digitale o un protocollo, ma un sistema (strutturalmente analogico e biologico) di comunicazioni umane.

Prima di abbandonare la metafora, vorrei ricordare che Copernico e Galileo non dicevano qualcosa di completamente nuovo. C’erano nel mondo antico visioni del cosmo basate su concetti "copernicani"; ma erano state dimenticate in una cultura appiattita e dogmatica.

Ci sono, nelle origini della rete, concetti e percezioni che possono aiutarci a capire il fenomeno secondo la sua vera natura. Ma la rapida diffusione della world wide web, l’enfasi improvvisa sui valori "commerciali", il passaggio repentino dalla quasi clandestinità all’essere uno degli argomenti "di moda", hanno fatto perdere di vista ciò che si sapeva.

Inoltre, i fenomeni umani che regolano la rete non sono intrinsecamente nuovi. Il nostro patrimonio genetico e culturale non è mutato nella sostanza. Ma un nuovo sistema di comunicazione può farci ritrovare valori antichi, per esprimerli in modo nuovo: come il senso della comunità, l’istinto del nomadismo, il desiderio di conoscenza e di scambio, il fascino e la ricchezza delle diversità.

L’asse della rivoluzione cognitiva di cui abbiamo bisogno è sostanzialmente semplice (come la teoria copernicana): risalire alla radice dei valori umani che governano il nostro essere e agire; cercare di capire come possono esprimersi ed evolversi in un nuovo contesto comunicativo.

Ma per farlo dobbiamo liberarci delle incrostazioni tolemaiche che provengono dalla nostra abitudine a pensare secondo le logiche della "catena di montaggio" e dei "mezzi di massa". L’industria non è finita, rimane una parte essenziale dell’economia e del nostro modo di vivere. Ma è finita l’era dell’omogeneità e dell’appiattimento. In teoria, lo si dice da decenni. In pratica, non è facile trarne le conseguenze. Qui sta uno dei nodi fondamentali della rivoluzione copernicana che deve governare il nostro modo di pensare. Non solo sulla rete, ma in generale sul mondo in cui viviamo.

Realizzare questa trasformazione profonda su scala planetaria, nei grandi sistemi di cultura e di governo, è un processo difficile, faticoso, complesso; e può essere in parte traumatico. Ma sul piano individuale (singola persona, singola impresa) è possibile ora, in modo diretto; grazie a una situazione nuova di cui le tecnologie elettroniche sono solo un elemento.

Questa è la sfida (e l’occasione) che oggi sta davanti a ognuno di noi: comprese persone che non hanno mai messo le mani su un computer – e organizzazioni che finora l’hanno usato solo per qualche banale funzione amministrativa. Ciò che schemi e teorizzazioni non riescono a esprimere in modo chiaro e concreto può spesso essere risolto con un guizzo di intuizione, fantasia e sensibilità. Molta strada, nel mare delle reti come in quello di acqua salata, è stata fatta – e può essere fatta domani, da navigatori che non badano alle teorie del cosmo ma sanno annusare gli umori del vento.
 


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