Questo testo è tratto dal capitolo 4 del
Nuovo libro della pubblicità.

(Il testo è di Luis Bassat; le parti in corsivo
sono aggiunte e commenti di Giancarlo Livraghi)



La strategia di comunicazione:
costruire, cambiare e consolidare atteggiamenti

Non c’è nulla di peggio
di una grande spinta
nella direzione sbagliata

 

  Dalla freccia di Cupido alla nascita della relazione


“Come ti sei dichiarato alla tua fidanzata?” chiesi a un allievo in un corso di pubblicità. Lo feci dopo aver ascoltato le sue energiche proteste perché, secondo lui, gli annunci si basavano spesso su esagerazioni non dimostrabili.

Gli chiesi della sua dichiarazione d’amore per vari motivi. Il primo è che sono un difensore convinto della pubblicità emozionale: l’arte di sedurre e innamorare ha molto a che vedere con la nostra professione.

E una dichiarazione d’amore può essere un eccellente annuncio che fa appello alle emozioni del destinatario. Non le avrai promesso qualche volta che l’avresti resa la donna più felice del mondo?

Oggettivamente, è chiaro che si tratta di una promessa difficile, fra l’altro perché ci può essere una sola persona che sia “la più felice del mondo”, e non è molto probabile che sia proprio la nostra compagna. E che, oltretutto, lo sia grazie ai nostri meriti e virtù.

Ma la seduzione richiede una stilla di passione e utopia. Non potrei mai accusare un innamorato di mentire quando promette la felicità assoluta, se questa affermazione gli viene dal cuore.

Mentire o manipolare sarebbe un’altra cosa, come millantare un reddito o una posizione sociale che non corrispondono alla verità. Ma esprimere emozione con un sensazionale “con te fino alla fine del mondo” è un’arma di seduzione che ci rende la vita molto più piacevole.

“Quanto sarai felice con me” è un argomento molto più attraente e convincente che “guarda come sono bello”, anche se oggettivamente può essere molto più dimostrabile il secondo. La pubblicità deve parlare al consumatore, promettere qualcosa, sedurlo. Andare un po’ oltre la banale ovvietà.

Se diciamo “guarda come sono bello” parliamo del prodotto. Se promettiamo “quanto sarai felice con me” parliamo al consumatore del beneficio che ne avrà. E questo è sempre preferibile.

La pubblicità è la Celestina che mette in contatto prodotto e consumatore, e crea l’occasione per la freccia di Cupido. Una buona Celestina conosce bene lo sposo e la sposa, così sviluppa tutto il suo lavoro nella strategia per trovare il punto di confluenza, il nesso di unione. Per avvicinare l’uno all’altro.

Celestina è la mezzana, la mediatrice di amori e matrimoni: da un famoso libro spagnolo del 1499, la Tragicomedia de Calisto y Melibea di Fernando de Rojas, più nota come La Celestina.

Ora siamo a questo punto del processo pubblicitario. Conosciamo lo sposo e la sposa, il prodotto e il consumatore, i vantaggi dell’uno e le esigenze dell’altro. Ma abbiamo bisogno che qualcosa si muova. La nostra strategia è, semplicemente, avvicinarli.

Non cercherò qui di definire le grandi teorie del marketing, ma mi sembra opportuno ricordare che si tratta di gettare un ponte fra l’una e l’altra riva del fiume. Il prezzo, la distribuzione, la promozione delle vendite, e la campagna pubblicitaria, saranno il cemento e le travi per costruire il ponte.

La sua architettura sarà definita e condizionata dalla nostra strategia: l’arte di avere il prodotto adatto per un gruppo predefinito di consumatori, al prezzo adatto e con adatta pubblicità e promozione.


Mirare prima di sparare

C’è chi prima spara e poi prende la mira. Nella nostra professione questa è irresponsabilità totale. Perché nulla è più pericoloso e controproducente di un grande sparo nella direzione sbagliata.

Il migliore creativo è quel campione di tiro a segno che può vantarsi di mettere sempre il colpo dove ha messo l’occhio. Mirare è la strategia. Colpire il bersaglio è la tattica.

Possiamo avere molte tattiche diverse e complementari. Si può sparare con una pistola a ripetizione, con un cannone o con raffiche di fuoco. Ma deve essere una sola la strategia, la linea che arriva dritta sul bersaglio.

La coerenza strategica non è così semplice come può sembrare. La fretta e l’angoscia dei risultati di breve periodo possono portare, oggi più che mai, a mosse tattiche che per cercare un rimedio immediato intaccano la strategia di marca, e così provocano guasti peggiori subito dopo. È sorprendente e preoccupante constatare come questo avvenga anche in imprese con una forte organizzazione e una seria cultura professionale.

Il principio fondamentale della strategia è sommare gli sforzi invece di sottrarli. La mia regola è rispettare la strategia del cliente, se la vedo precisa e dimostrata, come succede – per fortuna – nella maggior parte dei casi. In caso contrario, propongo al cliente di riflettere insieme per affinare quella che è la base del processo creativo.

Conosco pubblicitari capaci di abbagliare con fuochi d’artificio creativi. Il cliente può restare accecato da questi lampi e credere di aver scoperto il faro che illuminerà la sua strada. Meglio tenere gli occhi aperti, perché la cosa più probabile è che il gioco di luci, senza una bussola che lo orienti, nasconda l’orlo di un precipizio.


Capire gli atteggiamenti di oggi
per anticipare quelli di domani

Norman Berry, quando era presidente esecutivo della Ogilvy & Mather a New York e direttore creativo mondiale, diceva: «dobbiamo esigere quella grande libertà creativa che nasce da binari strategici d’acciaio».

Ho sentito alcuni citare questo concetto come un “paradosso”. Sono gli stessi che hanno una concezione superficiale e un po’ gratuita della “creatività”. Il ragionamento, infatti, è coerente e lineare. Quando più precisa e chiara è la strategia, tanto più vivace, interessante, libera può essere l’esecuzione, che può permettersi di “volare” senza perdere di vista l’obiettivo e senza abbandonare quell’indispensabile filo di Arianna che è la continuità e la coerenza di tutta la campagna.

E definiva così la strategia pubblicitaria:

“Cominciamo col fare un bilancio della situazione di partenza della nostra marca e del suo contesto attuale: chi sono i consumatori, che cosa pensano, sentono e credono riguardo alla nostra marca e alle marche concorrenti, come si comportano, ecc...”

Questo chiameremo punto A

“Poi decidiamo e scegliamo l’obiettivo, la situazione in cui vorremmo portare la nostra marca entro un tempo determinato: chi vorremmo che fossero i nostri consumatori, che cosa vorremmo che pensassero, sentissero e credessero su di noi, come vorremmo che ci confrontassero con i nostri concorrenti, ecc...”

Questo chiameremo punto B

Che cos’è la strategia?

È la strada che scegliamo per portare la marca in una situazione diversa da quella attuale. O meglio, è la carta stradale del percorso dal punto A al punto B.

Lavorare strategicamente vuol dire:

– Sapere qual è il punto A.

– Decidere quale dovrà essere il punto B

– Definire che cosa dovremo fare perché il consumatore passi dal punto A al punto B

Anche in pubblicità, le domande più profonde sono quelle decisive per sopravvivere. È filosofico. “Da dove veniamo?” “Dove andiamo?” o “Chi siamo?” assume un significato tutto speciale nella definizione di una strategia.

Se ancora non ci è chiara l’origine dell’universo, né sappiamo dove la terra e il sistema solare stanno andando a grande velocità, un’invenzione così umana come la pubblicità non può essere separata dalla realtà del pianeta.

Va detto che non esiste una formula infallibile per elaborare strategie, per capire da dove veniamo e dove andiamo. Esistono, quelle si, le chiavi teoriche; e centinaia di esempi pratici di scelte strategiche, con i relativi risultati, che possono aiutarci a risolvere alcuni dubbi e darci orientamenti importanti per il nostro percorso.


Le basi della strategia pubblicitaria


1. Il chi: la base

Ci sono tre elementi, connessi fra loro, che sono la base della strategia pubblicitaria:


A. Il pubblico obiettivo (il cosiddetto target group)

Chi vogliamo che reagisca alla nostra pubblicità?

Chi sono i consumatori che rappresentano il maggior potenziale di mercato per la nostra marca?

Spesso c’è più concentrazione di quanto si possa immaginare. Anche per un prodotto di larghissima diffusione, come la Coca-Cola, il 20 per cento dei consumatori rappresenta l’80 per cento dei consumi.

Per quali posizioneremo la nostra marca in modo più significativo?

A questo punto occorre definire stili di vita, abitudini d’acquisto, tendenze culturali, comportamenti... e soprattutto, l’atteggiamento del consumatore verso la nostra marca. Si tratta, come abbiamo visto, di definire chi, come, quando e perché compra il nostro prodotto o servizio.


B. Il contesto concorrenziale

Con quali prodotti o marche siamo in concorrenza diretta o indiretta?

Quali altre marche o prodotti potremmo sostituire?

Dove c’è un vuoto di mercato che potremmo riempire?

Che cosa può far prevalere il nostro prodotto sulla concorrenza?


C. Il posizionamento di marca

Come il pubblico percepisce, oggi, la nostra marca?

Come vorremmo che la percepisse domani, per effetto della nostra pubblicità?


2. Il come: le chiavi

Il successo di una strategia dipende per metà da ciò che abbiamo analizzato e deciso, e per metà da come lo comunichiamo.

Senza entrare in dettaglio nei segreti della creatività pubblicitaria, vorrei citare qui gli elementi che dobbiamo definire chiaramente nella nostra strategia:


A. La promessa

Una promessa di utilità rilevante che nasce dai problemi, del pubblico scelto, che la nostra marca risolve, o dai desideri che – in modo razionale o emozionale – può soddisfare.


B. La giustificazione

Ciò che in inglese si chiama reason why non è altro che le ragioni esplicite o implicite che appoggiano la promessa e spiegano come la marca può mantenerla.


C. La forma e il tono

La personalità del prodotto ci darà la capacità di mettere in relazione la promessa e la sua spiegazione con gli stili di vita, le attività e i valori del pubblico cui ci rivolgiamo.


D. Innovare, consolidare, cambiare

Che cosa possiamo sperare che la pubblicità faccia accadere nella mente del consumatore? Principalmente tre cose:

– Sviluppare un atteggiamento nuovo

Quando il consumatore non conosce la marca o il prodotto, o li conosce così poco che non ha un’opinione formata.

– Consolidare un atteggiamento riguardante il prodotto o il servizio

Quando l’atteggiamento del consumatore è quello desiderato e l’obiettivo è evitare che, con il passare del tempo, i cambiamenti di circostanze o le attività della concorrenza, possa cambiare idea.

– Cambiare l’atteggiamento verso la marca

Quando il consumatore non sente, pensa o crede le cose che vorremmo riguardo alla marca o al prodotto.


Costruire nuovi atteggiamenti

Un atteggiamento nuovo non si crea dal nulla. Non nasce adulto, come Venere che esce dal mare nel quadro del Botticelli. Ma, se sappiamo capire a fondo le esigenze del consumatore, possiamo cogliere qualcosa di nuovo che non si è ancora manifestato, una tendenza latente cui nessuno ha ancora dato gli strumenti adatti per esprimersi. Quando è possibile, questa è la strada che può portare a grandi successi.

 

   
 

   
 


Un approfondimento di questo tema
si trova in La strategia




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