I Garbugli della Rete - 21
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Si parla spesso di hacker; e spesso non ci si capisce, perché la parola ha significati diversi. Un giorno qualcuno mi disse che ci sarebbe stata una riunione clandestina, in cui un famoso hacker avrebbe raccontato come era riuscito a penetrare nel Pentagono. Ci andai. Non era affatto clandestina; parlava Richard Stallman, che non si è mai sognato di penetrare in alcun sistema, ma si occupa di freeware: quel software che non è sempre gratuito ma è free, cioè libero, e può essere liberamente usato e modificato da tutti (un argomento importante, su cui tornerò in un prossimo garbuglio). Quel signore è un hacker? Si, nel significato originale della parola. Che non vuol dire malintenzionato, come sembrano intendere gli articoli sui giornali e i discorsi che si sentono in giro. La cosa è spiegata bene in alcuni libri, come il classico Hackers: Heroes of the Computer Revolution di Stephen Levy (1984) e lottimo Hacker Crackdown di Bruce Sterling (1992); di tutti e due ci sono traduzioni italiane. Cè anche un bel libro italiano uscito alla fine del 1997: Spaghetti Hacker di Stefano Chiccarelli e Andrea Monti. Quando sono andato a comprarlo, il libraio mi ha detto che lo doveva continuamente riordinare, perché andava a ruba. Evidentemente cè interesse per largomento. In sostanza un hacker è una persona con una forte preparazione tecnica che si diverte a trafficare con le macchine e a inventare cose nuove. Quello che in Italia chiamiamo uno smanettone. Senza persone come queste non ci sarebbero molte tecnologie che stiamo usando e non ci sarebbe linternet. I primi hacker del MIT non si occupavano di computer, ma di trenini elettrici. I primi che si divertirono a fare cose un po birichine (più per dimostrare la loro abilità che con lintenzione di fare danni) furono quelli che negli anni settanta inventarono le blue box per fare telefonate interurbane senza pagarle. Dirà chi legge: ma tu cosa centri? Non sono uno smanettone perché non ho la competenza tecnica. Ma non posso evitare di mettere le mani sul computer, perché non accetto che faccia cose diverse da quelle che mi servono; e quando (come purtroppo succede spesso) un software fa i capricci, o si comporta in modo diverso da come vorrei, scatta un impulso basato su un fermo principio filosofico: la macchina deve lavorare per me, e non viceversa. Ne nascono talvolta battaglie impegnative, se occorre mi faccio aiutare da uno smanettone vero, ma alla fine le cose devono andare come voglio. Credo che non ci si debba arrendere mai. Sistemi, protocolli, procedure di comunicazione in rete, eccetera, devono adattarsi alle esigenze delle persone; non noi alle fisime di qualche ingegnere matto o di qualche prepotente e gigantesca software house. Questo è un comportamento da hacker. Il confine fra bravo tecnico e disturbatore è sottile. Alcuni cosiddetti hacker sono arrivati davvero a fare cose illegali o dannose (anche se spesso il loro scopo non era nuocere, ma vantarsi della loro abilità; tanto è vero che molti giovani hacker da grandi si trovano, con lauti stipendi, in qualche grande impresa di software). Ma cè un altro motivo per cui penso di essere un po hacker; e ha poco a che fare con la tecnologia. Credo di essere stato, per tutta la vita, una specie di hacker culturale. Ho sempre avuto linvincibile tendenza ad andare oltre la superficie delle cose, a cercare notizie e informazioni diverse da quelle più diffuse. Insomma sono inguaribilmente curioso. Per quelli come me, se non ci fosse la rete bisognerebbe inventarla; anche se presto ci accorgiamo che trovare ciò che cerchiamo non è facile. Ci sono decine di motori di ricerca, alcuni hanno una potenza enorme, altri hanno acute capacità selettive... ma spesso non trovano ciò che stiamo cercando. Così nasce il divertimento (ma anche la fatica) di dialogare in giro, usare il filo dei contatti personali finché finalmente si trovano quei nodi della rete che ci permettono di imboccare nuovi percorsi. Roba da hacker... E non finisce qui. Sentiamo spesso parlare di regole, filtri, controlli, insomma censura. Finora in Italia siamo quasi completamente liberi. Ma se un giorno i controllori riusciranno davvero a limitare le nostre capacità di ricerca e di dialogo, allora per quelli come me non resterà altra scelta che trovare qualche percorso non controllabile, mettersi su un server in Ruritania con unidentità marziana, o in qualsiasi altro modo diventare un hacker, un bucaniere dellinformazione. Spero che non succeda mai... ma se succederà, cari lettori e care lettrici, ci daremo appuntamento sulla mia imprendibile nave fantasma in qualche invisibile baia della Tortuga.
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