labirinto
Il filo di Arianna


novembre 2007

Giancarlo Livraghi – gian@gandalf.it


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(migliore come testo stampabile)



“La genesi della stupidità”
(atrofia dell’intelligenza)



Al tema della stupidità sono dedicate le pagine conclusive di Dialektik der Aufklärung, un libro scritto da Max Horkheimer e Theodor Adorno durante la seconda guerra mondiale e pubblicato negli Stati Uniti nel 1944 (la traduzione italiana, Dialettica dell’illuminismo, è uscita da Einaudi nel 1966).

L’opera ovviamente risente delle drammatiche vicende di quel periodo, le tragedie della guerra e gli orrori del nazismo. Ma la sua visione dell’illuminismo, come risorsa indispensabile di libertà e civiltà, e del pericolo che abbia “la tendenza a rovesciarsi nel suo contrario”, trascende i limiti di una fase storica e non è meno attuale nel mondo di oggi.
(Vedi Il potere dell’oscurantismo).

Alla fine del libro Horkheimer e Adorno affrontano il tema dell’intelligenza (e della stupidità) non solo da un punto di vista antropologico, ma anche, più in generale, evolutivo, come (presunta) distinzione fra “uomo e animale”. Le ultime pagine sono “sulla genesi della stupidità”.

«Il simbolo dell’intelligenza – osservano – è l’antenna della chiocciola “dalla vista tastante”, che le serve anche per odorare. L’antenna si ritira subito, davanti all’ostacolo, nella custodia protettiva del corpo, torna a fare una sola cosa col tutto, e solo con estrema cautela si avventura di bel nuovo come organo indipendente. Se il pericolo è ancora presente, torna a sparire, el’intervallo fino alla ripetizione del tentativo aumenta».

In altre parole, l’origine dell’intelligenza è la curiosità, ma la curiosità è timida. L’antenna del conoscere si ritrae quando incontra un ostacolo – o se ha paura. «La vita spirituale è, alle origini, infinitamente fragile e delicata. La sensibilità della chiocciola è affidata a un muscolo, e i muscoli si allentano quando il loro gioco è impedito. Il corpo è paralizzato dalla lesione fisica, lo spirito dal terrore. Questo e quella sono, all’origine, inseparabili».

E perciò «Gli animali più sviluppati devono se stessi alla maggiore libertà, la loro esistenza è la prova che delle antenne furono allungate un tempo verso nuove direzioni, e non furono respinte. Ognuna di quelle specie è il monumento funebre di infinite altre, il cui tentativo di divenire è stato frustrato fin dall’inizio; che soggiacquero al terrore fin da quando un’antenna si mosse nel senso del loro divenire. Il soffocamento delle possibilità da parte della resistenza immediata della natura esterna continua all’interno con l’atrofizzarsi degli organi sotto l’azione del terrore».

Insomma la curiosità è un rischio e il rischio fa paura. Ma senza il superamento di quella paura non ci può essere sviluppo dell’intelligenza. Anzi si può percorrere il cammino contrario: recedere, rinchiudersi, abbandonare ogni tentativo di conoscenza – e così arretrare verso una sempre più torpida e degradante stupidità.

«L’animale diventa, nella direzione da cui è stato definitivamente respinto, stupido e schivo». Cioè non solo perde la capacità di evolversi e di imparare, ma tende a regredire, a “chiudersi nel guscio” di percezioni limitate, di esperienze ripetitive. E questa non è solo un’evidente metafora – è anche la natura strutturale di molti comportamenti umani.

«La stupidità è una cicatrice. essa può riferirsi a una capacità fra le altre, o a tutte le facoltà pratiche e intellettuali. Ogni stupidità parziale di un uomo segna un punto dove il gioco dei muscoli al risveglio è stato impedito anziché favorito». La curiosità si spegne, l’esperienza diventa ripetitiva. La “stupidità parziale” si estende a una più generale ottusità.

Questa è, secondo Horkheimer e Adorno, “la genesi della stupidità”. «È facile che resti, nel punto in cui la voglia è stata colpita, una cicatrice impercettibile, una piccola callosità, dove la superficie è insensibile. Queste cicatrici danno luogo a deformazioni. Possono creare “caratteri”, duri e capaci, possono renderli stupidi – nel senso della deficienza patologica, della cecità e dell’impotenza, quando si limitano a stagnare; nel senso dalla malvagità, dell’ostinazione e del fanatismo, quando sviluppano il cancro verso l’interno».

Possono essere diverse e molteplici le manifestazioni della stupidità umana derivanti dall’incapacità di capire, di esplorare, di rompere il guscio soffocante della pigrizia mentale – che spesso si traduce in presuntuosa “illusione di sapere” o in sclerotizzati preconcetti. Fino a irrigidirsi in un’arroganza che può essere aggressivamente intenzionale, oppure nervosamente difensiva, o anche blandamente inconsapevole, ma non per questo meno dannosa.

La curiosità, il desiderio inesauribile di conoscere, è affascinante, divertente, stimolante. Ma non è un’esperienza “comoda”. Può essere sconcertante, può metterci a disagio. Perché scopriamo che avevamo idee e percezioni sbagliate. Perché ci rendiamo conto dei nostri errori e delle loro conseguenze. Perché, se è vero che dal conoscere può nascere la speranza, è inevitabile anche la constatazione di quante cose siano brutte, difficili, sgradevoli – o peggio. Insomma è facile cadere nella “paura di sapere” e rifugiarsi nell’illusione di qualche “falsa certezza”.

Non è questa l’unica “genesi”, la sola origine della stupidità. Ma è una delle più preoccupanti. Ed è una malattia che tende a propagarsi. Quando una “cicatrice” o una “callosità” fa arretrare una delle nostre “antenne”, è facile che lo stesso disagio, la stessa pigrizia, la stessa atrofia contagi anche le altre.

Continuare a imparare può essere scomodo. Può fare un po’ paura, anche perché ciò che impariamo non sempre ci piace. Ma è necessario, se non vogliamo cadere nell’unica alternativa possibile: rincretinire.





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