L’umanità dell’internet
(le vie della rete sono infinite)

omini
di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it



Capitolo 21
Sistemi aperti, compatibilità, opensource


Una delle caratteristiche del genere umano è che cadiamo facilmente nelle abitudini. Ormai siamo tutti abituati a pensare che sia “normale” il predominio assoluto, in tutto il mondo, dei sistemi e dei software prodotti da una singola azienda; che non ci sia altra scelta; e che quello sia l’unico modo di usare un computer – o di collegarci all’internet. Se tutto funzionasse bene, se avessimo sistemi efficienti a prezzi ragionevoli e senza inutili complicazioni, potremmo anche chiuderci in un passivo egoismo. «Tutto sommato – potremmo dirci – non è un problema mio; ci pensino la autorità antitrust e gli operatori del settore». Ma non è così. Dell’assurda situazione in cui ci troviamo subiamo tutti, ogni giorno, le conseguenze.

Ci sono cose pratiche che ognuno di noi può fare per ridurre i danni. Ma prima di parlarne vediamo, in breve, qual è la situazione.

Vorrei cominciare con una confessione personale. Anch’io, stupidamente, sono caduto nella trappola. Le mie prime e frammentarie esperienze con un personal computer risalgono ai tempi in cui non si parlava di compatibilità. Un Commodore 64 sembrava una macchina molto avanzata – e infatti era così. Funzionava bene con 64 kilobyte di RAM, quando oggi sembra che 64 megabyte (mille volte tanto) siano pochi per gestire software elefantiaci gremiti di funzioni inutili. Qualche anno dopo ho cominciato a usare regolarmente un Macintosh, che era (sostanzialmente ancora è) la macchina migliore per l’interazione fra l’interfaccia grafica e il sistema operativo. Ma era allora (in parte è ancora oggi) un sistema “chiuso”, che comunica solo con se stesso. Decisi che volevo un sistema “compatibile” e così incautamente passai a quello che allora si chiamava IBM compatible. Cioè il DOS, su cui poi si sovrappose Windows... e ora mi trovo nella stessa trappola in cui sono cascati quasi tutti gli altri.

Senza entrare in dettagli tecnici... qual è il problema? Che siamo vittime dell’incompatibilità. Il software che usiamo è troppo caro e ci induce a comprare macchine troppo care (anche quando non ne abbiamo alcun bisogno). Ma soprattutto funziona male.

È evidente che in un sistema dominato da un monopolio (che si chiama Microsoft) c’è scarso stimolo alla concorrenza, al miglioramento della qualità e del servizio.

L’80 per cento del software usato nei personal computer è della Microsoft. Le azioni legali che stanno conducendo da otto anni il governo federale e venti degli Stati Uniti d’America non hanno, finora, ottenuto alcun risultato. Mentre è sorprendente la quasi totale inerzia dell’Unione Europea, e in generale dei governi di tutto il mondo e delle organizzazioni internazionali, nell’affrontare una così estrema “posizione dominante” a livello mondiale.

Ma c’è di peggio. Per continuare a vendere (a prezzi assurdamente esosi) il monopolista inventa continuamente “aggiornamenti” tutt’altro che necessari. E li impone rendendo le nuove versioni incompatibili con quelle precedenti, così chi non si “aggiorna” va incontro a difficoltà quando comunica con gli altri.

Queste difficoltà sono in gran parte immaginarie. Ci sono software gratuiti che permettono di leggere un documento anche a chi non ha la versione aggiornata del programma con cui è stato scritto. E altri sistemi sono in grado di decifrarli. Ma molti – specialmente le imprese – si sentono obbligati ad “aggiornare” il software anche quando non ne hanno alcun bisogno.

Inoltre, i grandi fornitori di software (in particolare l’azienda monopolista) tendono a “integrare” i sistemi. La Microsoft, qualche anno fa, aveva completamente perso l’autobus dell’internet; è riuscita a recuperare solo perché i suoi software per la rete sono “incorporati” nel sistema operativo. La maggior parte delle persone li trova già installati quando compra un computer e pensa che siano solo quelli i sistemi disponibili. Questo criterio è l’opposto della compatibilità. Chi domina il mercato del software ha tutto l’interesse a rendere i sistemi compatibili solo con se stessi e a “integrarli” in modo che le persone siano il più possibile imprigionate.

Naturalmente la prigione ci viene presentata come il giardino dell’Eden e si fa tutto il possibile per farci passare la voglia di dare un’occhiata a quello che c’è fuori. Ma è una prigione, e ha non pochi inconvenienti.

Un problema fondamentale è quello del “codice sorgente”. Il tema del “codice aperto” è trattato in molti testi pubblicati dall’editore di questo libro – e spiegato nel suo sito online dedicato a questo argomento. Molti oggi sembrano pensare che si tratti di un conflitto fra i “vecchi” sistemi (in particolare Microsoft) e le “nuove” risorse offerte dai sistemi opensource (in particolare Linux). Ma non è così semplice. Il “codice sorgente” è la struttura di base del software. Se quel codice è tenuto segreto, nessuno lo può vedere – neppure un tecnico di informatica. In pratica è come se qualcuno avesse il monopolio dell’acqua potabile e potesse metterci dentro tutto ciò che vuole, senza consentire ad alcuno un’analisi chimica. E di cose strane, nel software che siamo (apparentemente) “obbligati” a usare, ce ne sono parecchie.

È noto che i sistemi e i software della Microsoft contengono molte cose nascoste, compresi i cosiddetti easter egg, che sono come le sorprese nell’uovo di pasqua. In parte sono giochi, scherzi o altre cose non particolarmente preoccupanti (ma che comunque ingombrano inutilmente la memoria dei nostri computer) ma se accettiamo il concetto che ci possono essere funzioni nascoste e incontrollabili abbiamo aperto un varco da cui può passare di tutto.

Nel caso dell’opensource, forse è utile chiarire che gli interventi non sono totalmente liberi. Sono governati da regole di comportamento e da alcuni limiti posti dalle “licenze” . Non bisogna neppure pensare che l’opensource sia una “bacchetta magica” che produce automaticamente software perfetto. Anche nei sistemi più liberi occorre qualcuno che coordini e che sia responsabile della qualità.

Per esempio gli esperti dicono che la versione 6 di Netscape, benché i “codici sorgenti” siano disponibili, è di pessima qualità. La “colpa” non è certo di migliaia di programmatori che hanno contribuito al suo sviluppo, ma di chi al centro del progetto non ha saputo coordinarlo e non ha fatto le verifiche necessarie. Comunque, in pratica, nell’uso di Netscape è meglio non “aggiornare” oltre le versioni 4 perché le successive non offrono alcun vantaggio e hanno parecchi problemi.

C’era software opensource prima che nascessero molti dei sistemi “proprietari” che usiamo oggi (compresi quelli della Microsoft). Siamo caduti progressivamente nella prigione dei sistemi chiusi e ora dobbiamo trovare il modo di uscirne. In favore delle tecnologie opensource si dicono due cose. La prima è che, anche se non sono del tutto gratis, costano molto meno. La seconda è che poiché i “codici” sono disponibili ogni programmatore può intervenire come vuole e il sistema è continuamente migliorato dalle verifiche e dalla collaborazione dei tecnici di tutto il mondo. Tutte e due sono vere. Ma c’è dell’altro.

La parola inglese free ha due significati: vuol dire gratis e vuol dire libero. Questo ha provocato alcune ambiguità sul significato di freeware. Una tecnologia “libera” non è necessariamente gratuita. E anche quando un sistema operativo (come nel caso di Linux) è gratuito, cioè ognuno lo può installare e usare senza doverlo pagare, è legittimo che ci siano compensi per il servizio di chi ne fa distribuzione, fornisce assistenza, eccetera.

Un sistema aperto e trasparente offre a tutti maggiori possibilità di scelta. Inoltre rende più difficile “nascondere” nel software cose non necessariamente gradite a chi lo usa – compresi sistemi di ispezione, controllo, invasione che possono essere innocui o “ben intenzionati” ma spesso non lo sono. Comunque è un nostro diritto sapere che cosa fanno i programmi che usiamo e non essere assoggettati ai capricci di chi li produce.

Non è solo una questione di software e di “codici”. Tutti i sistemi che usiamo devono essere aperti, trasparenti e compatibili. Compresi i “protocolli” e i “linguaggi”. Per esempio il linguaggio HTML, su cui si basa il sistema web, è nato per essere compatibile e accessibile a tutti; ma ora lo stanno complicando a tal punto che ci sono siti visibili solo con un particolare browser o addirittura con software che bisogna scaricare apposta (e che può contenere ogni sorta di trappole, come funzioni “non trasparenti” che condizionano il comportamento del nostro computer, verificano di nascosto i suoi contenuti e il nostro comportamento in rete... o fanno altre cose indesiderabili di cui non hanno la cortesia di informarci).

Lo sviluppo dell’internet è basato su sistemi aperti e compatibili. La rete non avrebbe mai potuto avere la diffusione che ha se non fosse stata concepita in quel modo. Ed è importante per tutti che rimanga sempre così.

In pratica... che cosa può fare una singola persona per difendersi dai malanni dei sistemi “non trasparenti”? Purtroppo le soluzioni che sarebbero “ideali” non ci sono; ed è difficile immaginare quando ci saranno (di questo parleremo nel prossimo capitolo). Sarebbe vantaggioso partire fin dal principio con un sistema opensource; il problema è che le soluzioni disponibili non sono “per tutti”.

I sistemi della “famiglia Unix” (come Linux) sono molto più affidabili ed efficienti. Ma danno il meglio di sé con le soluzioni a “comandi diretti”, che richiedono una buona competenza tecnica. Almeno per ora... le “interfacce grafiche” disponibili per questi sistemi hanno un’installazione complessa, sono molto ingombranti e richiedono computer di grande potenza; cioè riproducno alcuni grossi difetti del software “commerciale”.

Ma anche se ci troviamo costretti ad adeguarci ai sistemi più diffusi, ci sono varie cose che possiamo fare per limitare i danni.

Per chi non ha esperienza tecnica può servire l’aiuto, all’inizio, di una persona esperta. Ma ecco alcuni criteri generali.

  • Installare, dove possibile e conveniente, software diversi da quelli che ci sono “somministrati” (per esempio il sistema che gestisce la posta; ce ne sono vari, anche gratuiti, che funzionano bene).

  • Non installare un software nella versione “completa” (che contiene un’infinità di cose inutili per il 99 per cento delle persone) ma scegliere solo le funzioni che ci servono. Se e quando ne avremo voglia, potremo sempre aggiungerne altre.

  • Non fare “aggiornamenti” se non siamo sicuri di averne bisogno.

  • “Disabilitare” le funzioni che non ci servono o che possono complicare le cose (ne vedremo alcuni esempi nella terza e quarta parte di questo libro).


  • “Non accettare caramelle dagli sconosciuti”. Quando qualcuno ci regala qualcosa, chiediamoci se è vera generosità o se sta cercando di “rifilarci” qualcos’altro.

In generale... non accettare passivamente tutto ciò che ci viene offerto ma cercare di capire se ci serve, come e perché. Se ci pensiamo, e se diventa un’abitudine, è molto meno difficile di come può sembrare.






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