Il potere della
stupidità
La stupidità non è
mai
da prendere sottogamba
Una recensione
che circola online marzo 2005
Ecco il mio codice a barre personale su questo libro: centocinquantotto pagine, venticinque capitoli, dodici euro, un sacco dinformazioni, zero luoghi comuni.
Quando unesperienza, una semplice coincidenza o una persona ti aprono gli occhi su una cosa che già sapevi ma non eri in grado di definire senza paroloni, ti domandi ogni volta: Cosè che non avevo capito?
Io, per esempio, non avevo capito che la stupidità non è solo un fastidio che ti colpisce quasi ogni giorno, ma molto, molto di più: un inquinamento umano e sociale che fa più danni di qualsiasi altra bassezza culturale (le superstizioni, il tifo gazzettaro, la new age, le telenovelas, gli indumenti marchiati, gli oroscopi, il razzismo...). La stupidità non è sempre la madre delle degenerazioni umane, ma è certamente il suo più efficace fertilizzante.
Ecco un esempio clamoroso: lo sanno anche i bambinoni che le guerre non nascono a caso e che von Clausewitz non ce laveva cantata tutta. Le guerre sono anche la prosecuzione con altri mezzi di enormi interessi economici. Eppure, senza la stupidità delle caste militari, le abominevoli stragi pianificate non potrebbero mai essere attuate.
Giocando sul titolo del suo libro (in verità, neanche tanto), nel capitolo La stupidità del potere lautore mette in risalto non solo che stupidità e potere sono spesso combinati molto bene (cioè malissimo), ma che il potere può moltiplicarla in modo spaventoso.
Se un leader brianzolo dice castronerie sui musulmani, di solito la cosa finisce in una castagnata a Pontida. Se invece le stesse stupidità le pronuncia un suo collega austriaco sugli ebrei, le conseguenze possono portare direttamente dal Hofbräuhaus ad Auschwitz.
Detto piatto piatto: la stupidità non è mai da prendere sottogamba.
Gandhi, Martin L. King, Mandela non erano necessariamente più buoni o più divertenti di Lord Mountbatten, George Wallace e Henrik Verwoerd. Ma erano certamente molto meno stupidi dei loro antagonisti dimenticati.
Dire che il libro di Giancarlo Livraghi mi abbia divertito, sarebbe solo una mezza verità. Da un lato fa sempre comodo scoprire una mappa che ti aiuta a orientarti in un paesaggio brullo (sebbene il posto rimanga poi sempre quello che è: appunto brullo), ma è anche incoraggiante riscoprire che cè ancora qualche italiano che preferisce le tradizionali ricette di Charles Darwin ai nuovi menu nelle scuole italiane.
A proposito: quando nelle nostre aule si tornerà a studiare, secondo me non sarebbe male se questo testo di Livraghi diventasse un libro di testo.
Till Neuburg
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di presentazine del libro