Il potere della stupidità
Kali


Un articolo in “Lo schermo
loschermo
quotidiano online

10 aprile 2011


La stupidità
del negazionismo


Probabilmente le persone immaginano il pubblicitario come un dandy abbronzato e volitivo, inarrestabile e arrogante, venditore abilissimo, attivista senza posa per cene e salotti di relazione, ora che il mercato celebra stuoli di anacronistici meta-yuppie. Ma un pubblicitario non è un imbonitore, non è un ciarlatano, non è un colluso – non necessariamente, no.

Chi inventa la pubblicità era ed è sovente uomo di cultura, con la spina dorsale – come diceva David Ogilvy. Dopo essere stati mentori che hanno saputo costruire messaggi e valorizzare prodotti con accurata e perspicace visione, certi grandi pubblicitari non hanno goduto di una immagine di sé che conquistasse l’opinione pubblica. Forse perché consapevoli, come scrisse Albert Einstein, che la fama induce una certa stupidità. Bisognerebbe fare giustizia.

Un delizioso piccolo libro, “il Potere della Stupidità”, è stato prodotto qualche tempo fa e costantemente aggiornato da un uomo che ha dato molto alla cultura della comunicazione in Italia e non solo: Giancarlo Livraghi, oggi divulgatore libero e (acuto) pensatore che è stato pubblicitario, copywriter, scrittore. Come molti artefici del successo di tanti prodotti e servizi che hanno conquistato il pubblico negli anni sessanta, settanta e ottanta del secolo scorso con fantasia e senza eccessi, egli è molto lontano dall’immagine del pubblicitario che ci è stata trasmessa e che condiziona ancora oggi una parte significativa dell’immaginario collettivo.

Ogni occasione è buona per parlare di stupidità, essa è sempre tra noi. Come ci ricorda Livraghi nella sua premessa, la stupidità è la più grande forza distruttiva in tutta l’evoluzione del genere umano. Ed è un fenomeno diffuso e più complesso di quanto si possa credere, per molti aspetti sorprendente.

Egli tratta nella parte centrale del suo saggio di alcune conseguenze della stupidità. Il rapporto tra stupidità e paura, la stupidità della burocrazia, la relazione tra stupidità e ignoranza, assolutamente non proporzionale, e con sottoinsiemi derivati come l’arroganza, la supponenza. Credo di poter aggiungere che oggi l’ignoranza assume nuovi connotati, allo stesso tempo confusa con la stupidità e ridefinita attraverso abitudini che abbiamo imparato a non contrastare, come la cattiva informazione per manipolazione o per indecorosa impreparazione di chi dovrebbe insegnare, o comunicare. Sempre più spesso applichiamo la nostra stupidità in esercizi di negazione.

L’attività negazionista sembra aumentata recentemente, assieme alla disinformazione strategica. Senza scomodare i significati attribuiti di solito al termine in relazione alla confutazione di eventi storici per fini politici, si intende il negazionismo in termini più ampi. Si è negazionisti quando si vuole negare ogni evidenza, quindi scegliendo di confutare una tesi senza concreta dimostrazione. Ma, come scrive Livraghi, chi si considera immune da ogni critica, o superiore a chiunque si permette di non essere d’accordo, non è solo arrogante, è anche stupido.

Ad esempio, i principali meccanismi che regolano l’evoluzione delle specie vegetali ed animali sono stati individuati e ampiamente corroborati da una infinità di evidenze sperimentali e per questo sono ormai universalmente condivisi dalla comunità scientifica internazionale. Da piccolo (ma per fortuna anche da grande) ho spesso seguito trasmissioni televisive, letto saggi e ascoltato lezioni sull’evoluzionismo Darwiniano; qualche settimana fa è stata la volta del breve “in principio era Darwin” di Piergiorgio Odifreddi. Sono cresciuto con la consapevolezza dei risultati ottenuti in quasi duecento anni di ricerca.

E c’è ancora chi nega l’evidenza scientifica.

Anzi, da un po’ sembra di notare sempre più frequenti voci che si levano in difesa di presunte verità o credenze che – è dimostrato – sono superate dalla storia o dalla conoscenza, quella stessa conoscenza che ha scoperto prodotti e servizi che ci migliorano (e allungano) la vita. La conversazione differita – mi piace definire così il thread costituito dai commenti a un articolo online – che si è tenuta in questi giorni sulle posizioni di De Mattei, vice presidente del CNR, ha sollevato alcune voci a sostegno del pensiero dello storico, dichiaratamente creazionista.

Ciò che colpisce – e subito però richiama alla mente il potere della stupidità – è l’accanimento negazionista per consacrare il diritto di espressione. La diatriba si avvale anche di qualche negazionista di segno opposto, di chi non può sopportare quelli che ritiene ottusi proclami. La stupidità ancora una volta è in agguato, travestendo la legittima indignazione di supponenza.

Nell’esempio citato il problema non è il negazionismo, tuttavia. CNR è acronimo di Consiglio Nazionale delle Ricerche. De Mattei ne è vicepresidente, ma la sua attività di comunicazione non è affatto espressione del pensiero scientifico condiviso che è comune ai ricercatori e alla missione dell’ente pubblico nazionale. Ergo, libero di esprimere le sue idee e di cimentarsi nella critica, non può e non deve essere riconosciuto rappresentante (nè inidirizzare le risorse) di una istituzione che impiega migliaia di ricercatori che si dedicano alla pratica della scienza con tutta la loro passione.

Scrive Livraghi: «Può essere vero che – su un certo argomento – chi ha più competenze specifiche ne sa più di noi. Ma accade spesso che alla presunta autorevolezza non corrisponda un’adeguata competenza – o che le opinioni dei cosiddetti esperti siano viziate non solo dalle (legittime) prospettive di questa o quella posizione culturale o scientifica, ma anche da condizionamenti e interessi sulla cui trasparenza e limpidezza è opportuno avere qualche perplessità».

La comunicazione, quando è condotta in modo condizionato, tende a generare proselitismi viziati che a loro volta inducono verità non dimostrabili, non condivise. Non possiamo permetterci di ignorare la certezza del contesto di discussione, che determina sempre il senso della trasmissione di pensiero, spesso quanto il pensiero stesso.

L’autorevolezza percepita o il ruolo istituzionale di chi comunica genera un valore qualitativo attribuito al messaggio che dovrebbe essere oggetto di una valutazione di conflitto da parte dei riceventi. Purtroppo non sempre abbiamo la possibilità di una consapevole considerazione, specie di fronte ad affermazioni negazioniste su cui non è possibile disquisire perchè il pensiero è sviluppato in modo dogmatico all’interno di un sistema di riferimento chiuso, non necessariamente condiviso, diverso dal contesto percettivo in cui ci muoviamo. Ma pensieri sviluppati in contesti di riferimento diversi possono coesistere, se non si negano a vicenda, nel rispetto della pluralità e se non vengono inquinati da condizioni che pretendano di attribuire un valore di verità universale e trasversale.

Nessuno può permettersi di negare una fede. Com’è possibile ostinarsi a negare la fede nella scienza?

Marco G. Matteoli  




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