Il potere inesplorato
dell’intelligenza

Giancarlo Livraghi – giugno 2013

 
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Da tutta la vita mi sto preoccupando per l’insidioso potere della stupidità. Da diciassette anni ne sto scrivendo – e ho imparato che non potrò mai finire, perché è un argomento inesauribile. Si continuano a scoprire diversi aspetti del problema che meritano di essere approfonditi.

So che non si finisce mai di imparare. Ma non so perché solo ora, dopo tanto tempo, sto cominciando a pensare che valga la pena di osservare la situazione da un punto di vista che non è contrapposto, ma “speculare”. Può sembrare strano, ma stiamo sottovalutando anche il potere dell’intelligenza.

Non so dove mi porterà questo percorso. Sono curioso di scoprire se e quanto sarò capace di vedere le cose – dall’inizio dell’evoluzione umana fino alle cronache di ogni giorno – da una prospettiva diversa. Mi aspetto che anche questo sia un tema sconfinato, in cui si può progredire senza mai arrivare a una conclusione che possa avere la pretesa di essere “definitiva”.

Intanto, ecco alcune osservazioni su ciò che mi sembra di aver capito finora. Grazie anche ad alcune gradevoli esperienze di questi giorni. E al riemergere di ricordi che avevo dimenticato – o di cui, all’epoca, non avevo sufficientemente apprezzato il valore.

Mentre non si esaurisce mai la deprimente constatazione di quanto sia imperversante la stupidità (a cominciare, ovviamente, dalla mia) è stimolante scoprire come l’intelligenza sia capace di esprimersi in tanti modi imprevisti e inaspettati. Non solo con remote, quanto illuminanti, “luci nel buio”. Anche in apparentemente piccoli, ma brillantemente significativi, episodi in quella che si rischia di trascurare come banale quotidianità.

I segnali non sono nascosti, né invisibili. Ma sono poco appariscenti. Raramente e brevemente rivelati da effimere luci della ribalta. Più spesso impercettibili, sommersi dall’assordante rumore del futile e dell’inutile. Il motivo più importante per cui non li troviamo è che non li stiamo cercando.

Non abbiamo addestrato la nostra mente a percepire il valore di ciò che “non sembra importante”. Né a capire come e perché modeste esperienze nella soluzione di “piccoli” problemi possono insegnarci il metodo per affrontare “grandi” difficoltà con più concretezza e meno complicazione.

Non sto cercando di dire che si debbano abbandonare, né sottovalutare, gli studi, i progetti, le iniziative “su larga scala”. Non sono accecato dalla mia cronica antipatia per il potere. Né dalla continua e deprimente constatazione di quanto sono deboli, confusi e ritardatari i tentativi delle istituzioni, in tutto il mondo, nel contrastare i gravi problemi che infestano il pianeta. Come la demenziale oppressione della speculazione finanziaria, che non può essere radicalmente risolta su scala nazionale o regionale (per esempio dall’Unione Europea senza efficaci intese in una più ampia prospettiva internazionale).

Che ci piaccia o no, è necessario riconoscere che le gerarchie del potere hanno un ruolo insostituibile. E che non deve essere ostacolato. Sono legittime le proteste, le delusioni, le indignazioni. Ma è molto difficile che i problemi si risolvano se la maggioranza delle persone si rifugia nella lamentosa passività, nella convinzione che “ci deve pensare qualcun altro”. O in una frustrazione non solo deprimente, ma spesso anche causa di ulteriori storture e malvagità.

Non credo che i ragionamenti sul sottovalutato potere dell’intelligenza possano offrirci soluzioni miracolose. Ma è chiaramente dimostrato da tutta la storia dell’evoluzione che progressi fondamentali sono stati ottenuti dalle intuizioni di ingegni pragmatici di cui non riusciremo mai a scoprire il nome e l’identità. E che il migliore concreto sviluppo consiste molto più spesso nella semplificazione di cose complesse che nella complicazione di cose semplici.

Almeno per ora, non mi azzardo a fare esempi. Pochi sarebbero troppo particolari, tanti sarebbero ingombranti. Ogni caso ha una sua distinta identità, difficilmente riproducibile in un contesto diverso. L’importante è capire che ce ne sono moltissimi, imparare a riconoscerne almeno alcuni – e dalla loro molteplice diversità ricavare lo stimolo a trovare sentieri che aprono percorsi diversi da quelli più ovvi e appariscenti.

È improbabile che dalla constatazione di un singolo episodio di insolito o imprevisto successo derivi direttamente e immediatamente un’idea adatta a risolvere un problema in un contesto diverso. Ma non è necessario.

L’accumulo di esperienze e conoscenze costruisce, un po’ per volta, un modo di essere e di pensare. Una risorsa cognitiva che con la pratica diventa istinto – e aiuta a cogliere occasioni che spesso, una volta scoperte, si rivelano ovvie, ma sembravano invisibili in una prospettiva troppo condizionata dalle abitudini, da schemi preconcetti o da un desolante stato di rassegnazione.

Non è raro che accada di scoprire, mentre si cerca la soluzione di un problema, qualcosa che inaspettatamente ne risolve un altro. Non è casualità, né fortuna. È un preciso risultato della capacità di cogliere la molteplicità di prospettive che c’è sempre, in ogni circostanza, ma sfugge a una mente poco allenata a guardare oltre la monotona e ingannevole barriera delle apparenze.

Insomma un’inguaribile e ostinata curiosità, oltre a essere una risorsa fondamentale per ridurre il potere della stupidità, è anche un formidabile strumento per scatenare le risorse inesplorate dell’intelligenza.



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