Il potere della stupidità
Kali

Intelligenza, furbizia,
dabbenaggine e stupidità

di Gabriele Calvi – ottobre 2003


Questo è il testo (leggermente abbreviato) di un articolo
pubblicato nel numero 192 di Social Trends (ottobre 2003).
Il testo completo è online in formato pdf.



Robert J. Sternberg, che insegna psicologia alla Yale University, si è dato pace solo quando ha visto in libreria il suo nuovo volume: Why Smart People Can Be So Stupid (Yale U. Press, New Haven, 2002). Forse nessun accademico più di lui aveva constatato che si spendevano somme enormi nelle ricerche sull’intelligenza, mentre nemmeno un penny era impiegato per scoprire come usarla bene o spiegare in quale modo la stupidità riesce a sconfiggerla clamorosamente ogni giorno. Forse, come tanti altri, si era accorto che pure le persone non deboli di mente possono fare cose da pazzi.

La letteratura scientifica sulla stupidità delle persone normali – trascuriamo quella causata da patologie – è molto esigua: sia quindi benvenuto il lavoro di Sternberg, anche se il suo valore resta da accertare. Enorme è invece la documentazione spicciola, multiforme, su quanto sono stupidi gli uomini in generale, e quanto frequentemente si concedono di esserlo perfino i regnanti, i capi di governo e di partito, i ministri, dai quali sarebbe naturale attendersi più avvertenza. [Vedi La stupidità del potere].

Gli esempi in proposito non mancano, ma – per rispetto dell’autorità – immaginiamo un caso ipotetico: quello di un personaggio qualsivoglia dello Stato che, per giustificare una gaffe e l’offesa arrecata con essa a un popolo straniero, si scusa dicendo di essere stato offuscato dai fumi di tè con champagne. Il cittadino che apprende la notizia è posto di fronte a un bel dilemma. Se pensa che il personaggio in questione fosse lucido mentre accampava la ridicola scusa, è costretto a considerarlo piuttosto stupido. Quindi, non intelligente, né furbo. Per contro, se lo ritiene intelligente, deve supporre che fosse un tantino sbronzo, riconoscendogli però le attenuanti concesse abitualmente a chi non porta bene l’alcool o la teina (temibile alcaloide).

La consultazione della ricchissima, esorbitante fenomenologia della stupidità potrebbe divertire chi non si deprime facilmente, ma è materiale grezzo, da interpretare e classificare prima di trarne qualcosa di utile per la conoscenza scientifica. Questa, in tale coacervo, dovrebbe saper cogliere delle regolarità delle leggi. Per ora, la scienza non ci soccorre. Le uniche “leggi” note sono quelle sarcasticamente annunciate dal noto economista Carlo Maria Cipolla (e ricordate da Giancarlo Livraghi nel suo Il potere della stupidità).

“Leggi” palesemente vere, che resisteranno nel tempo a ogni tentativo di falsificazione. Esse dicono che sottovalutiamo sempre il numero degli stupidi, che la stupidità è parimenti distribuita in tutti i generi e classi di persone, che lo stupido è facilmente riconoscibile perché danneggia gli altri senza avvantaggiarsene o danneggiando se stesso, che i non stupidi sottovalutano sempre la nocività di quelli che lo sono, che lo stupido è il tipo di persona più pericoloso che esiste.

Questi enunciati possono insegnare qualcosa. La loro capacità esplicativa soffre però di un limite: si riferiscono a un tratto mentale considerato a sé stante, separato da tutti gli altri, isolato artificiosamente dalla dinamica mentale e dalle condizioni concrete dell’esperienza.

Ora, è evidente che chi pretende di capire che cos’è la stupidità, ma la considera una dimensione a sé stante, si pone su una strada che non porta da nessuna parte. E poi: se parliamo di “stupidità” siamo certi di intenderci? Che cos’è? Scarsa intelligenza, ottusità, limitata capacità di giudizio, ignoranza, balordaggine, stoltezza, trasgressività, disonestà?

Poiché nel linguaggio comune queste categorie concettuali servono di volta in volta a precisare in quale senso si parla della “stupidità” di una persona, il termine si palesa di eccessiva portata semantica e perciò scarsamente referenziale: in breve, è ambiguo.

La stupidità non è tratto, né deficit unidimensionale, bensì la risultante di più fattori e circostanze diverse. La stupidità può essere l’esito di dabbenaggine, nei casi in cui a una mente non pronta si accompagnino eccessiva semplicità o candore d’animo, ingenuità e sprovvedutezza, credulità...

Vogliamo fare di questi tratti tutt’uno con “stupidità”? È possibile, ma per confondere, non per chiarire. Non va dimenticato che il termine dabbenaggine viene normalmente contrapposto a quello di furbizia, come stupidità si contrappone a intelligenza. La persona furba sa dissimulare abilmente l’astuzia e la scaltrezza secondo le circostanze e gli scopi che si prefigge. In questo senso, è l’opposto della persona pateticamente dabbene. Di questa molti possono prendersi gioco; non altrettanto si può dire di una furba. Purtroppo, molte leggi della natura sono crudeli: di solito, da una parte sta il formaggio, dall’altra i topi.

Furbizia e dabbenaggine possono quindi prestarsi come insegne, rispettivamente, dell’esigua schiera dell’umanità vincente e di quella rigogliosa dell’umanità che perde. Nella prima, con maggiore probabilità, riconosceremmo politici e palazzinari, finanzieri e imprenditori d’assalto, giornalisti e venditori porta-a-porta, banchieri e pubblicitari, mentre nella seconda potremmo trovare noi stessi con la maggioranza dei cittadini, degli elettori e dei consumatori, quindi tutte le persone che per la loro innocente dabbenaggine non appaiono dissimili da stupide.

Anche l’ignoranza – oltre alla dabbenaggine – può essere una componente della stupidità. Oggi l’ignoranza, colpevole o no, sta principalmente nell’essere esclusi dal circuito della cultura e dell’informazione, dall’accesso alle nuove tecnologie della relazione. Ignoranza è pure il trovarsi all’oscuro di una situazione, il non conoscere a sufficienza le persone o gli ambienti in cui ci si imbatte. In queste condizioni, vi è il rischio di commettere errori, di mostrare improntitudine. In breve: di far la figura degli stupidi.

Per contro, alcune persone vengono ritenute intelligenti solo perché di pronte reazioni, di accorte risposte, per la capacità di improvvisare discorsi anche su ciò che non conoscono. L’intelligenza – che mal si accorda con stupidità, furbizia, dabbenaggine e ignoranza – potrebbe trasparire anche da simili comportamenti, ma, più propriamente, è la capacità di intendere e attribuire il giusto significato all’esperienza, di aprirsi a nuovi mondi della conoscenza e di risolvere nuovi problemi.

Soprattutto, l’intelligenza è tale se sue potenzialità cognitive si completano con l’equilibrio e la saggezza nelle valutazioni, con la sapienza inscritta nei valori sociali e nelle norme etiche. Quando l’intelligenza possiede questa armoniosità diviene l’ornamento della persona, il fastigio di tutte le virtù dell’uomo. Di quell’uomo per il quale difficilmente accade di doversi chiedere: Why so smart and so stupid?

Gabriele Calvi





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