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Sartori e sondaggi

luglio 2008



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
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Mi trovo, per la quarta volta in due anni, a citare Giovanni Sartori. Non sui problemi del “costituzionalismo”, in cui no ho alcuna competenza. Ma su temi che riguardano Il potere della stupidità. In questo caso la stupidità del potere – e anche (più specificamente) un altro libro, Mentire con le statistiche.

Nel primo capitolo del “classico” di Darrell Huff (e anche nelle aggiunte all’edizione italiana – vedi, per esempio, Cesare e Pompeo) sono spiegati i motivi per cui spesso i “sondaggi” (di opinione o di mercato) sbagliano (o sono interpretati male). A segnalare quanto il problema sia “di attualità” c’è un articolo di Giovanni Sartori in prima pagina del Corriere della Sera del 29 luglio 2008: Governare senza sondaggi (gli errori da evitare).

Sartori si chiede: «Un governo guidato dai sondaggi può essere un buon governo?» E spiega che «Dipende da come i sondaggi vengono letti. Il più delle volte, male».

Potremmo subito osservare che non si tratta solo del governo, ma anche di tutti i partiti e le “parti” politiche e sociali, degli osservatori e “politologi”, dei “grandi mezzi di informazione”, di ogni genere di “centri di potere”, eccetera. Ma su questo ritornerò più avanti.

Sartori ci spiega che «I sondaggi rilevano – tra le tante cose – i pareri e le priorità dell’“uomo comune” Il che già indica quale ne sia la gittata. Ma vediamo meglio distinguendo fra tre contesti».

«In primo luogo il contesto dei “tutti”. In questo contesto i sondaggi mettono in evidenza l’esperienza quotidiana, e quindi più frequente, dell’uomo comune: la spesa per mangiare, il costo della vita, il peso delle tasse e simili. Queste priorità sono ovvie; ma i sondaggi le misurano, e per ciò stesso ne precisano l’importanza, il “peso”».

È vero. Ma non si tratta solo del cosiddetto “uomo comune”. (Sulla cui ipotetica identità è opportuno avere qualche dubbio... come diceva Aldous Huxley, «non esiste alcun uomo medio»).

Si tratta anche dell’eco, spesso distorta, che questi argomenti hanno nella cosiddetta “informazione”. Talvolta i problemi sono esagerati, spesso sono sottovalutati, comunque c’è uno scarso rapporto fra ciò che si legge, si vede o si sente dire e le circostanze reali in cui stiamo vivendo. È inevitabile che “l’opinione pubblica” ne sia confusa, prima ancora che le sue preoccupazioni (o disattenzioni) siano riflesse nei “sondaggi”.

«In secondo luogo – continua Sartori – ci sono le cose che fanno infuriare soltanto porzioni (più o meno estese) della popolazione: la lentezza della burocrazia, la paralisi della giustizia, lo sfascio della scuola e della sanità, l’insufficienza delle infrastrutture e simili. Ma siccome non si dà mai il caso che tutti abbiano cause in corso (anche se gli italiani che aspettano giustizia sono più di 7 milioni), che non tutti sono simultaneamente a scuola, che non tutti sono malati, ecco che i valori percentuali di questi casi scendono. Ma sarebbe una cattiva lettura dei dati ricavarne che per gli italiani quei problemi siano poco rilevanti. La differenza rilevata dai sondaggi riguarda solo la frequenza con la quale ciascuno di noi “batte la testa”, in concreto, in queste disfunzioni.».

È vero anche questo. Ma, anche in questo caso, quanto sono chiare e credibili le “notizie” e i commenti su cui si formano le opinioni?

«In terzo luogo ci sono i problemi che per il grosso pubblico sono “astratti”, e che non capisce finché la tegola non gli cade sulla testa. L’uomo comune non afferra che le disfunzioni di cui sopra dipendono da una macchina istituzionale che a sua volta non funziona. E afferra ancor meno i problemi in arrivo, i problemi del futuro (anche se prossimo). L’acqua, la benzina, l’elettricità e anche i prodotti alimentari stanno già diventando insufficienti; ma acqua, benzina, energia gli mancano soltanto quando di fatto mancano; non prima e purtroppo non a tempo. Dal che consegue che i sondaggi sottostimano alla grande il problema ecologico che è, invece, il più grave di tutti.».

L’incapacità di vedere i problemi in cui, non da oggi, stiamo precipitando è enorme. E molto pericolosa. Ma non ha senso “scaricarne la colpa” su un ipotetico “uomo comune” o su un non meglio identificato “grosso pubblico”.

È più grave l’opportunistica ignavia di chi ha avuto, e ha, la responsabilità di sapere, di provvedere e di informare. Non solo i governi, ma anche i loro critici e analisti, hanno sprecato un’immensa quantità di tempo,energie, attività, risorse e investimenti in direzioni che non solo non hanno neppure tentato di risolvere quei problemi, ma hanno fatto molto per aggravarli.

Giovanni Sartori conclude così. «È proprio per questo che un governante che asseconda e ascolta soltanto i sondaggi è un pessimo governante. Il non-fare perché “tanto agli italiani non interessa” è un non-fare vergognosamente irresponsabile. Ci sono tantissime cose che un buon governo deve fare (per essere buono) a prescindere dai sondaggi». Qui si sente l’impronta del “costituzionalista” (o “politologo”) che tende ad attribuire tutto il bene (o tutto il male) delle sorti umane al funzionamento dei sistemi di governo. Cosa, certo, importante. Ma non è l’unica.

Si tratta solo del governo? Se è vero (quanto “tautologico”) che è dovere del governo saper governare (cioè svolgere un compito molto più importante di quello che può essere “premiato” dai sondaggi o da effimeri consensi sulle apparenze) il fatto è che gli stessi errori, le stesse irresponsabilità, affliggono anche altre aree del potere.

Quello economico, che non può basarsi solo sulle fragili logiche del profitto “fine a se stesso”, sulle avide e miopi strategie “di breve periodo” o sui dementi azzardi della speculazione.

Quello politico, che riguarda non solo i governanti, ma tutti gli eletti in parlamento o in assemblee regionali o locali – o candidati a qualsiasi “carica” – e, più estesamente, tutti coloro che “cercano consenso” per ottenere qualche “delega di responsabilità” (nonché, un po’ troppo spesso, solo per assecondare il loro esasperato protagonismo).

Quello delle “parti sociali”, che tradiscono le loro responsabilità quando si riducono a ruoli “corporativi” di difesa e promozione di interessi o privilegi di particolari “categorie”.

Quello culturale, con le sue baronie e i suoi manierismi, cerimoniali, salamelecchi, banalità, conventicole e “salotti”. E quello dell’informazione che si perde in mille rivoli confusi, spesso dando più importanza alle cronache pettegole, ai tortuosi maneggi dalla politica e della finanza, alle mode e alle banalità, che ad argomenti importanti che meritano molta più attenzione.

E tutta la “società civile”, che non è un grazioso, vago e superficiale “modo di dire”, ma una seria responsabilità di quelli che l’illuminismo ci ha insegnato a chiamare “cittadini”. Cioè tutti noi, nel formarci opinioni non troppo superficiali – e nel comportamento quotidiano, qualunque sia il ruolo e la responsabilità.

Non è solo “troppo comodo”, ma è anche molto pericoloso, credere che tutto debba (o possa) provvedere qualcuno “dall’alto”. È vero che “dall’alto” dovrebbe venire un “esempio” migliore di quello che ci stanno propinando. Ma abbiamo una testa per pensare e se non la sappiamo usare non sarà lo “scaricabarile” a toglierci dai guai.

Smettiamola di dire “piove, governo ladro” o di accontentarci dei pettegolezzi (talvolta divertenti, più spesso squallidi) con cui si ridimensiona l’apparente “grandezza” dei potenti. Ringraziamo la pioggia, che irriga i campi, pulisce l’aria, ci porta un indispensabile nutrimento, oltre alla possibilità di lavarci (e di lavare panni e stoviglie). Chiediamoci, piuttosto, perché nessuno sta badando seriamente allo stato disastroso degli acquedotti – o al pericoloso inquinamento delle “falde”.

Fra le più imponenti architetture dell’epoca romana c’erano gli acquedotti. Oggi che la popolazione è molto più numerosa e il consumo molto più grande, possiamo permetterci di dilapidare un bene fondamentale, che non arriva ai nostri rubinetti da alcuna fonte perennemente “inesauribile”, mentre siamo l’unico paese al mondo in cui si sprecano così tanti soldi in acque imbottigliate che di “minerale” hanno solo l’etichetta? O, in tanti modi, di distruggere o inquinare l’ambiente, cioè il mondo in cui viviamo?

E anche... prima che qualche lettore mi ricordi (giustamente) che “non si vive di solo pane” (o acqua) un altro “bene necessario” è la cultura. Cinquant’anni di mal concepite e peggio applicate “riforme scolastiche” hanno portato a un solo sviluppo positivo: l’obbligo di studiare almeno fino a sedici anni. Ma non basta. Nonostante il lavoro meritorio (non è esagerato chiamarlo “eroico”) di tanti insegnanti, che per fortuna ci sono, il degrado di tutto il sistema scolastico, forse un po’ meno nelle elementari, ma impressionante dalle medie all’università, non si risolve con manovre pretestuose o “riforme” improvvisate, conflittuali e inefficienti.

Sulla necessità di una cultura più vera, più aperta e più impegnata, occorre uno stato di coscienza non meno attento di quello di cui abbiamo bisogno per l’ambiente “fisico”. Del resto senza un’ecologia della mente è molto improbabile che si possa arrivare a risolvere i crescenti problemi di abitabilità del pianeta in cui viviamo.

Insomma non è solo la cattiva gestione del potere la causa dei mali che ci affliggono. È anche la debolezza di quella che dovrebbe essere di fatto (non solo di nome) una “società civile” – e la perversa arroganza di un “sistema dell’informazione” stupidamente convinto che “l’uomo comune” sia un babbeo e debba essere trattato come tale. (Vedi Il circolo vizioso della stupidità).




Altre citazioni di Giovanni Sartori si trovano in:

La stupidità sta crescendo? – agosto 2006

La stupidità del “giovanilismo” – luglio 2007

Homo stupidus stupidus – agosto 2007




Uno stato d’animo oggi diffuso
è ben descritto in una vignetta di Altan
(L’espresso – 7 agosto 2008)

Altan

 



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