Le dimensioni inesplorate
della crescente povertà

Per la quantità enorme della ricchezza nascosta
il problema è ancora più grave di come sembra


Giancarlo Livraghi – agosto 2012

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La gravità del problema è nota. Le attività per risolverlo sono sporadiche e inadeguate. La demenza mondiale della cosiddetta “crisi” è dominata dalla speculazione finanziaria. I rozzi tentativi di soluzione peggiorano la povertà di quasi tutti, in tutto il mondo. Mentre continuano a lasciare indenni, spesso favorire, i “pochi molto ricchi” – e in particolare gli evasori fiscali.

Ci sono state epoche e situazioni, nella storia, in cui sistemi basati sulla repressione, l’ingiustizia, la crudeltà e l’ignoranza sono sopravvissuti per secoli e millenni. In, purtroppo molte, parti del mondo è così ancora oggi. Ma i nuovi oligarchi non capiscono quanto sia fragile il loro potere, perché solo in (poche) situazioni estreme è possibile impedire totalmente l’accesso alla comunicazione e la conoscenza di ciò che accade nel resto del mondo.

La paura, eterna arma dell’oppressione, sta abituando a una sgomenta accettazione di “sacrifici” anche le “classi medie” di paesi che erano abituati a considerarsi “ricchi” (o almeno “benestanti”). Se si trattasse di ragionevole sobrietà, potrebbe essere accettabile, anche desiderabile. Ma si è già andati oltre ogni giustificabile misura – con un feroce, doloroso peggioramento delle condizioni di chi era già povero e una sempre meno sopportabile caduta di chi aveva un discreto benessere verso uno stato di insopportabile povertà.

Se non si manterranno le promesse, finora troppo vaghe, di “stimolare la ripresa”, le conseguenze saranno confuse, disordinate, allarmanti – molto più forti e pericolose delle occasionali proteste cui abbiamo assistito finora.

Nel resto del mondo, dove la povertà è da molto tempo diffusa, se e dove non saranno soddisfatte le speranze di miglioramento i conflitti, già oggi intensi e spesso violenti, potranno avere inasprimenti ancora più gravi.

I lettori abituali di questo sito conoscono i testi che ho pubblicato a questo proposito.
Come, per esempio, C’era una volta il mercato e Stupidocrazia finanziaria.

I dati che conosciamo, in giro per il mondo, segnalano una situazione in continuo peggioramento. Con sempre più soldi e risorse in mano a sempre più pochi, progressiva distruzione dei “ceti medi” e desolante crescita del numero di persone e famiglie in stato di povertà o a rischio di caderci.

Questa tendenza non è solo immorale, ingiusta, crudele e disumana. È anche pericolosa, perché porta inevitabilmente a conflitti di crescente e incontrollabile gravità. Una recente e ben documentata analisi dimostra che la situazione è molto peggio di quanto, finora, si è potuto immaginare.

In Inferni e paradisi ho spiegato come uno studio di TJN (Tax Justice Network) abbia identificato l’enorme quantità di denaro (decine di migliaia di miliardi di dollari) sottratto all’economia mondiale perché nascosto in tax havens, cioè evasione fiscale.

taxjustice

Quell’analisi è stata presa in considerazione da pochi giornali italiani per un giorno – il 23 luglio 2012 – e con altrettanto scarsa attenzione su scala internazionale. Poi, più nulla.

Mi piacerebbe credere che i governi dei paesi più civili (e le “autorità” internazionali) stiano segretamente lavorando per scoprire i tesori nascosti e restituire quelle immense risorse all’economia reale (e così anche sottrarle a organizzazioni criminali, terroristi, dittatori, oligarchi e governanti corrotti che ne possiedono una parte importante). Ma temo che questa – almeno per ora – sia una troppo ottimistica illusione.

Intanto c’è un altro studio di TJN, intitolato Tax havens cause poverty (e analisi più dettagliate in Magnitudes: dirty money, lost taxes and offshore). Rivela un diverso, ancora più grave, aspetto del problema: l’evasione fiscale provoca povertà.

Specialmente (ma non solo) nei paesi più poveri e con i governi più spietati e corrotti, la disuguaglianza reale fra l’enorme ricchezza di pochi e la disperante povertà di tanti è enormemente maggiore di ciò che risulta dai bilanci nazionali. Perché, in gran parte, il denaro dei più ricchi e potenti è nascosto, al di là dei confini, in valute diverse nonché in varie forme di beni e proprietà variamente occultate. Invisibile, irreperibile, irraggiungibile – soprattutto perché manca un serio impegno per riportarlo dove serve.

Né questa, né qualsiasi altra, può essere la panacea, l’unica soluzione di tutte le “crisi”. E non intendo ripetere qui ciò che ho scritto in Ingormazione (gandalf.it/offline/ingormaz.htm). Ma è sconcertante che sia ignorato un problema (che può diventare risorsa) di questa enorme grandezza.


Post Scriptum – I poveri nei “paradisi”
 

Può sembrare ridicolo, ma non lo è. Fra i pochi che studiano seriamente il problema dell’enorme evasione fiscale, alcuni si preoccupano di quale sarebbe il destino di chi, non coinvolto nella speculazione, vive nei paesi la cui economia è basata su quel ruolo. Hanno ragione, è giusto pensarci (anche per evitare rivolte e proteste che potrebbero essere contagiose).

Il costo di “assistere” le vittime innocenti sarebbe infinitesimale rispetto alle enormi quantità di denaro restituite all’economia reale in tutto il mondo. Il problema non è di cifre, ma di metodo e organizzazione. E comunque non è inutile sapere di che cosa si tratta quando parliamo di “paradisi fiscali”.

Possiamo, grosso modo, dividerli in tre categorie. I grandi paesi in cui si gestisce il gioco. I piccoli molto ricchi. I piccoli che non hanno altra ricchezza e sono davvero offshore, cioè in luoghi remoti e poco conosciuti.

Quest’ultima categoria merita di essere aiutata. Prima ancora di andare a caccia dei soldi (e altri “tesori”) nascosti sarebbe utile prevedere un minuscolo “piano Marshall” per aiutarli a valorizzare altre risorse e non cadere in povertà. Anche perché senza un adeguato rimedio sarebbe ostinata e condivisa la resistenza a ogni tentativo di scoprire i nascondigli.

Per esempio le isole Cayman, oggi offshore banking per antonomasia, non sono solo un tax haven, ma anche un luogo particolarmente affascinante per gli appassionati di immersioni marine. Possono non solo sopravvivere bene, ma anche utilizzare meglio quella bella ricchezza liberandosi dalla sgradevole reputazione di “rifugio” per i soldi di evasori e altri furfanti.

Anche molti altri sono attraenti “mete turistiche” – o possono essere valorizzati come tali. Per tutti è possibile trovare una risorsa diversa da quella su cui oggi si basa la loro piccola economia (ricordando che alcuni rifugi fiscali sono anche sedi di “narcotraffico” e altre attività criminali).

Tutt’altro è il caso dei “piccoli paesi comunque ricchi”. Il Principato di Monaco è il paese con il più alto reddito pro-capite al mondo. Non ci possono essere rischi di povertà nel Liechtenstein. Ovviamente la (non così piccola) Svizzera, storica protagonista come rifugio degli evasori, ha abbondanti altre fonti di ricchezza. Eccetera. Insomma si arrangino, possono continuare ad avere prosperità e benessere anche rinunciando al ruolo di “paradisi fiscali”.

Il compito più importante, ma il più difficile, è sradicare (o almeno contrastare energicamente) l’uso dei tax haven nei “grandi paesi”.

A cominciare dagli Stati Uniti, dove è nato il mito della speculazione selvaggia “che farà tutti ricchi” e dove ora si sente il morso della “crisi”.

L’altro luogo di origine del grande imbroglio è la Gran Bretagna, che ora gioca astutamente su due tavoli, restando fuori dall’euro e dentro l’Unione. Ma non si può eternamente trascurare il fatto che (per esempio) molti miliardi scappati dalla Grecia sono rifugiati in dollari e sterline.

E anche la Cina, la Russia e altre patrie o rifugi di autocrati corrotti...



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