Offline Riflessioni a modem spento


Le fanfare stonate
e l'autobus perduto

Marzo 1998
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  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
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Suonano sempre più stonate, ma non abbassano il volume, le fanfare che inneggiano al favoloso futuro del "commercio elettronico" in Italia . Ma le imprese fanno "orecchi da mercante"; oppure insistono perché si faccia qualcosa di superficiale e inutile, come metter su un sito web "tanto per esserci" e senza aver capito come usarlo.

Perfino in Inghilterra, dove sono molto più avanti di noi in fatto di rete, un recente studio di Fletcher Research conferma ciò che risultava anche da analisi precedenti: le imprese sono confuse, non capiscono l'utilità della rete, si limitano a mettere online una brochure aziendale più o meno imbellettata. Ognuno copia ciò che fanno gli altri e si affaccia in rete solo "per non fare brutta figura". Da noi, come sappiamo bene, è anche peggio.

Quasi tutti gli imprenditori (o manager di grandi imprese) che conosco sono tutt'altro che sciocchi; e tutt'altro che chiusi alla tecnologia e all'innovazione. E allora, dobbiamo chiederci, perché si comportano in modo così irragionevole? Perché hanno poco tempo da perdere con cose che non capiscono; e perché il disordinato fracasso che circonda la rete, con una velenosa mescolanza di tecnomitologie e tecnofobie, induce una sana dose di diffidenza anche nel più coraggioso innovatore.

Credo che sia venuto il momento di un severo esame di coscienza da parte di chi "forma cultura". Dalle università ai convegni, dalla stampa alla televisione, si è troppo diffusa l'eco di fantastiche promesse che nessuno può mantenere. Troppi numeri mirabolanti, troppe offerte di inefficaci panacee, troppe applicazioni grossolane di modelli che non funzionano neppure in America Ð o che non trovano riscontro nella nostra cultura e nella nostra economia. Troppa l'enfasi sul "commercio elettronico" come se potesse trovare immediata diffusione in un paese che non ha una tradizione di acquisti per posta e dove la rete ha ancora una diffusione limitata Ð e soprattutto come se fosse l'unico modo di usare la rete per la crescita e il successo di un'impresa.

È venuto il momento di fare discorsi più sobri e più concreti, per cominciare a risalire la china del baratro culturale in cui siamo caduti.


Un'inversione di tendenza:
l'America è sempre più lontana

Intanto, da varie fonti risulta un fatto nuovo (che ho analizzato nel numero 15 del "mercante in rete"). Negli Stati Uniti la situazione sta cambiando. Nella seconda metà del 1997 è iniziata una nuova tendenza; la rete in America sta davvero diventando uno strumento diffuso. Sotto la spinta di fatti sociali e culturali (come la comunicazione fra le famiglie e i figli a scuola) e di molte attività economiche e professionali, stanno arrivando in rete le "persone comuni", non solo quelle con livelli socio-economici più elevati e con una migliore preparazione tecnica e culturale.

Sembrava che la distanza fra gli Stati Uniti e il resto del mondo dovesse diminuire; che pian piano la "quota" americana di presenza in rete dovesse scendere dal 60/65 verso il 50/55 per cento. Sta succedendo il contrario: è risalita al 70 per cento. Di questa crescente distanza, oltre che delle differenze strutturali fra il nostro mercato e il loro, dovremo tener conto ogni volta che ci verrà in mente di riempirci la bocca e la fantasia con la ridda di miliardi (di dollari) che gira intorno ad alcune imprese d'oltre oceano. Occorre una visione molto più concreta della nostra realtà per poter recuperare il terreno perduto.

Il rischio è grave. Se è vero che il futuro della società e dell'economia dipende in modo importante dalla capacità di gestire la comunicazione, l'Europa deve impegnarsi per accorciare le distanze; e la rincorsa per l'Italia, che in fatto di rete è il "fanalino di coda" nel G7 e nell'Unione Europea, è ancora più lunga. Qui non si sta solo rischiando, come osservano gli studiosi più attenti, di rovinare un'intera generazione perché non diamo ai giovani quella conoscenza della rete che quando cresceranno sarà una necessità di sopravvivenza; ma anche di compromettere, nel giro di pochi anni, il futuro delle nostre imprese e della nostra società.

Ci vuole un serio impegno, soprattutto culturale, per riacchiappare l'autobus perduto.

 

   

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