Il filo di Arianna
Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it
Cè una crisi della fiducia
Per risolverla occorre tornare alle basi
Ogni relazioe umana (commerciale o non) è basata, in un modo o nellaltro, sulla fiducia. Ma sta diventando sempre più difficile capire di chi e di che cosa ci si può fidare. Siamo lontani da quelle situazioni in cui molte cose erano a portata di mano o di voce la verdura dellorto, lopinione del vicino. Sembrano antiche, ma basta andare indietro di poche generazioni per trovarne le radici. Non abbiamo ancora imparato come sentirci a nostro agio in un mondo sempre più esteso e complesso, sempre meno controllabile.
È piacevole sapere che possiamo viaggiare fino agli antipodi, comunicare con persone lontane, avere prodotti e servizi che vengono da luoghi remoti. Ma è preoccupante non saperne abbastanza, perdere il controllo su ciò che ha una diretta influenza sulla nostra vita, anche quando non ce ne rendiamo conto.
Ci sono situazioni in cui una delega pressoché totale è inevitabile. Salire su un aeroplano o su un treno vuol dire consegnare il nostro destino nelle mani di altri. Finché sappiamo che gli incidenti catastrofici sono rari possiamo contare sul fatto che i sistemi di sicurezza sono discretamente affidabili e il rischio è contenuto nei limiti del ragionevole. Ma ci sono infinite situazioni in cui quella delega non è necessaria ed è insensata. È irragionevole e pericoloso che troppe cose siano controllate da qualcuno che non sempre è facile identificare e le cui intenzioni sono meno benevole o trasparenti di come vorrebbero sembrare.
Quando si tratta dellinternet il problema si accentua. Fin dallinizio era chiaro che si poneva un problema di fiducia. Come posso fidarmi di chi non vedo, forse non so dove si trova, talvolta non conosco? Nella sostanza è meno difficile di come sembra. Perché le relazioni non sono virtuali e perché con una ragionevole dose di buon senso è possibile contenere i rischi a livelli non troppo preoccupanti. Ma è inevitabile che ci siano perplessità e occorrerebbe un serio impegno da parte di tutti per superarle creando un clima di vicinanza, umanità, serenità e fiducia. Si sta facendo, con irragionevole intensità, il contrario.
In generale... si fatica a trovare la via del ritorno da una corsa verso il vago, il generico, lirrilevante che ha diluito le identità dimpresa, di marca e di prodotto fino a renderle prive di significato. Nellinternet, ovviamente, il problema è più grave. Non solo per la necessità di superare unistintiva (e giustificata) sfiducia, ma anche per la più diretta verificabilità dei fatti e dei contenuti.
Siamo già, comunque, prigionieri di tecnologie inutilmente complesse, piene di funzioni occulte o incomprensibili. A questo si aggiungono invasività di ogni specie, che tendono a toglierci il controllo della situazione e a portarci dove vogliono loro. Favorendo, così, gli interventi di ogni sorta di malandrini.
Gli esempi sono infiniti. Ognuno, nella sua particolarità, ha un limite e una soluzione. Nel loro insieme riflettono un comportamento sbagliato, in cui troppi cercano di espandere il loro controllo a scapito dellefficienza e della sicurezza di tutti. Tecnologie e sistemi di comunicazione sono troppo spesso sviluppati in un modo che non ne migliora lutilità e non ne protegge adeguatamente la sicurezza. Sotto la bandiera del trustworthy computing si nascondono proposte e sistemi che non meritano alcuna fiducia e pretendono una delega cieca e pericolosa.
Back to basics si sta giustamente dicendo, in giro per il mondo. Andiamo alla base, alla radice delle cose, e da lì cerchiamo di costruire sistemi (e relazioni) più funzionali e più affidabili. Il concetto si applica a uninfinità di cose, ma in particolare alle tecnologie dellinformazione e ai sistemi di comunicazione. Se non si dà un molto più forte predominio alla funzionalità reale e alla vera affidabilità, non solo delle risorse tecniche ma anche delle relazioni e del servizio, non è possibile costruire quei rapporti di fiducia che sono la base indispensabile per un vero progresso.