Un articolo su "Avvenimenti" - 2 gennaio 1998 -
numero dedicato a "1998 - come saremo"

Internet: può essere una rivoluzione


Non è un'utopia pensare che un uso diffuso della rete
sia lo strumento in una profonda trasformazione culturale;
ma occorre un radicale cambiamento di prospettiva


 

  Di bizzarre "profezie" per quanto riguarda l'internet, e in generale le reti telematiche, siamo continuamente sommersi; e anche di descrizioni dell'esistente che hanno ben poco a che fare con la realtà. Più che tentare altre previsioni, preferirei definire le mie osservazioni per quello che sono: speranze e timori.

Il mio primo timore è che il polverone continui nel 1998. Anche se le timide voci, che cercano di descrivere il fenomeno in termini realistici, stanno cominciando a guadagnare terreno; sono ancora sommesse, ma un po' meno isolate, meno clamantes in deserto. Il motivo è semplice: benché le persone che hanno una reale esperienza siano ancora poche, il numero sta gradualmente crescendo; e chi vive concretamente la rete si rende conto di quanto la realtà sia diversa dalle diffuse descrizioni di un museo degli orrori o di una specie di grande videogioco popolato di pupazzi e di "effetti speciali".

Un'altra possibilità, malinconica quanto probabile, è che i riflettori si concentrino sull'ennesima pseudo-innovazione: Windows 98. Non sappiamo come sarà, perché non ne esiste ancora una versione definitiva. Ma è facile immaginare che, come i suoi predecessori, sarà un ingombrante e farraginoso accumulo di funzioni, in gran parte inutili; e un ennesimo tentativo da parte della Microsoft di "imprigionarci" in un uso esclusivo del suo software. Sarà anche, probabilmente, pieno di difetti e di tarli. La soluzione più intelligente è evitare, per quanto possibile, di caricare la nuova versione di qualsiasi software, aspettando almeno che siano passati i (molti) mesi necessari per curare in parte le sue malattie infantili. Una cosa è certa: non si tratta di un "grande evento", anche se è probabile che una diffusa eco di stampa tenda a presentarlo come tale.

Le più acclamate innovazioni tecnologiche sono spesso irrilevanti, se non dannose. La corsa alla crescente complessità dovrebbe, il più presto possibile, invertirsi; per dare spazio a soluzioni molto più semplici e funzionali, che ognuno possa scegliere secondo le proprie esigenze. Non di tratta di "demonizzare" una singola impresa (anche se un monopolista che domina il 90 per cento del software e tenta continuamente di accrescere la sua egemonia non può aspettarsi di essere circondato dalla simpatia universale). Occorre mettere in discussione il percorso demenziale che sta seguendo la tecnologia; che è assurdo chiamare "progresso", perché ogni vero progresso tecnologico deve portare a soluzioni sempre più semplici e funzionali, non sempre più complesse e barocche. Si invertirà questo percorso nel 1998? Me lo augurerei; ma temo che non succeda così in fretta.

Si parlerà anche, forse, di deregulation e di apertura concorrenziale della telefonia (e quindi dei sistemi di trasmissione dati). Questo è un percorso, spero, inevitabile; ma le resistenze strutturali sono molte e potenti. Per quante chiacchiere si possano sentire sull'argomento, potremo dire che sarà avvenuta un'autentica liberalizzazione del mercato solo quando vedremo tariffe interurbane e intercontinentali a prezzi "tendenti a zero" (e una drastica riduzione, se non eliminazione, delle attuali tariffe urbane). È facile immaginare che a quel punto cambierà la natura della stessa internet, perché per molte grandi organizzazioni diventerà (ancor più di quanto lo è oggi) più conveniente operare con reti proprie, o con comunicazioni dirette, che attraverso il sistema complesso dell'internet: che così potrà essere meno ingombra e più veloce per noi "piccoli". Sogni, fantasie? Macché. Tutto possibile con le tecnologie di oggi, se davvero si togliessero di mezzo gli ostacoli strutturali e i sistemi di (enormi) interessi che cercano di ritardare il più possibile la caduta dei loro privilegi. Succederà nel 1998? Temo di no.

Ma il tema più importante, secondo me, è un altro. Si tratta di rovesciare il sistema dei valori. O meglio di togliere spazio, eco e rimbombo ai valori meno rilevanti, più pittoreschi e superficiali, che circondano necessariamente ogni novità; e cominciare a considerare i nuovi sistemi di comunicazione semplicemente per quello che sono: uno strumento del vivere quotidiano. In questa semplice evoluzione c'è un potenziale rivoluzionario.

Oggi la rete è immaginata come una specie di giocattolo per ricchi annoiati; o uno strumento un po' astruso per chi ha esigenze di comunicazione e di ricerca particolarmente complesse. Una continua rincorsa verso complicazioni inutili fa apparire come "necessarie" macchine sempre più potenti, di cui il 99 per cento delle persone non ha alcun bisogno.

La tendenza contraria, per ora, è una cosa ancora un po' iniziatica. Nei "mercati delle pulci" si trovano computer usati, o parti perfettamente funzionanti. Un buon tecnico può montare un computer con poche centinaia di migliaia di lire. Esiste una vasta disponibilità di software, in gran parte gratuito, che permette di fare tutto ciò che serve con molto meno pasticci e problemi e con una richiesta di prestazioni molto inferiore a quella che oggi è considerata "il minimo". Ma quanti lo sanno, e quanti sono disposti a "rischiare" di dotarsi di qualcosa che non è l'ultimo modello presentato nelle vetrine luccicanti dei negozi? (Anche se inevitabilmente la novità di oggi sarà "vecchia e superata" fra pochi mesi).

Supponiamo che la "cultura del semplice" si diffonda. Supponiamo che qualche fabbricante illuminato si renda conto dell'opportunità, e metta sul mercato macchine nuove a prezzi enormemente inferiori a quelli oggi considerati "normali". Sbancherebbe il mercato, e tutto il sistema ne trarrebbe un enorme vantaggio.

Ma manca ancora qualcosa... un sistema operativo gratuito, aperto a tutti, solido, funzionale, e condiviso. Cioè quello che oggi, assurdamente, non esiste: compatibilità totale. Utopia? No. Sistemi efficienti e gratuiti esistono (per esempio Linux) ma non hanno, almeno finora, un'interfaccia accessibile per un utente non esperto.

E poi, un'altra cosa: un impegno culturale per diffondere la coscienza di ciò che davvero è la rete; dei valori umani, sociali, civili di un sistema il cui cuore non sta nelle macchine o nelle tecnologie, ma nello scambio fra persone.

Il giorno in cui questo avverrà (credo e spero che presto o tardi debba avvenire) scopriremo il potenziale rivoluzionario della rete. Consegnare a tutti (non solo a chi ha privilegi economici o culturali) uno strumento di dialogo e di conoscenza. Aprire le porte del mondo a chi oggi è isolato (a quelli che la Dichiarazione di Bonn, ricca di "buone intenzioni" che l'Unione Europea predica ma non razzola, chiama i "non abbienti di informazione").

Parlare di "reti globali" nella situazione di oggi sarebbe comico se non fosse triste. Più di metà delle persone collegate vive in un solo paese, gli Stati Uniti. Il 90 per cento in 12 paesi, che rappresentano il 13 per cento della popolazione mondiale. Nei singoli paesi (per esempio in Italia) sono escluse (non solo per motivi economici) proprio le persone che ne avrebbero più bisogno: quelle isolate o emarginate, quelle che nel sistema attuale hanno meno "voce".

Qualcosa sta cominciando a succedere. Il governo indiano ha deciso strategie concrete per aprire gli accessi alla rete (se pensiamo che più persone parlano inglese in India che in tutta l'Europa, potremmo assistere a un fenomeno straordinario). Perfino la Cina sta cominciando ad allentare i controlli politici sull'internet. Se i due giganti si muovono, che cosa farà il resto del mondo?

In tutta Italia, nascosti in angoli che sfuggono ai riflettori dei "grandi mezzi" di informazione, ci sono tanti piccoli pionieri. Formichine che cercano i loro piccoli territori, magari solo per chiacchierare e giocare, ma pian piano costruiscono reti, comunità... Ci si accorgerà di loro, nel 1998? Si comincerà a capire quanto fondamentale sia il loro ruolo, a dare nutrimento (soprattutto culturale) alla loro crescita e moltiplicazione?

Non lo so. Ma questo è il desiderio, questa è la speranza. Perché nel reticolo di incontri, scambi, esperienze che la rete rende possibile c'è una forza autenticamente rivoluzionaria. La capacità di una vera, quanto silenziosa e incruenta, "presa di potere": perché ognuno possa avere il potere di gestire se stesso e la propria vita, di allargare le proprie esperienze, di arricchirsi culturalmente e (perché no?) anche economicamente.

È un mito, un sogno, un'utopia? No. Non è qualcosa che le reti e le tecnologie possano regalarci. Ma è un diritto che le persone possono conquistare, usando gli strumenti disponibili, se ne sono capaci. Come sa chi ci ha provato e ci sta provando, non è molto difficile ­ ed è anche piuttosto divertente.

Di questo vorrei che si parlasse nel 1998 e negli anni a venire; e soprattutto vorrei che si traducesse in fatti. Tutto il resto, comprese le mirabolanti innovazioni che senza dubbio la tecnologia ci porterà, è secondario. Ben vengano, s'intende: ma se sono concrete e funzionali; se sono al servizio della civiltà umana, non di un'inutile e ormai noiosissima ricerca di "effetti" fine a se stessi.


Nota: per le valutazioni sullo sviluppo della rete nel mondo, in Europa e in Italia vedi la rubrica il mercante in rete . Per quanto riguarda i "non abbienti" di comunicazione e altri temi culturali e sociali vedi il convegno organizzato dalla GGIL a Roma il 22 luglio 1997. Sulla possibilità di sviluppare tecnologie più semplici ed efficienti vedi l' articolo del dicembre 1997 nella serie "I garbugli della rete".

 

   
 
Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
  dicembre 1997
 

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