Allegato al n.23 - I Garbugli della Rete
maggio 1998

Alcune osservazioni sulla libertà di informazione e sul diritto d'autore


In appendice all’articolo "Il diritto di copiare"pubblicato nella rubrica
"I garbugli della rete" sul numero di maggio 1998 di Internet News

 

Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
aprile 1998

 

Questi appunti non hanno la pretesa di proporre soluzioni precise al complesso problema del diritto d’autore. Sono solo un tentativo di approfondire il problema e di spiegare perché non può essere risolto semplicemente applicando i criteri formali e legali oggi in vigore.

Non è facile stabilire dove sia in confine fra il diritto di chi produce un’opera dell’ingegno (sia una scoperta scientifica, un prodotto tecnologico, un articolo o un libro) ad averne un "giusto compenso", anche monetario, e il diritto di tutta l’umanità all’accesso e alla comunicazione della conoscenza. L’importante è capire che questo limite esiste e deve essere riconosciuto.

Il tema è esteso e complesso. Esiste, per esempio, un vecchio e irrisolto conflitto fra la "tutela delle invenzioni" nel campo farmaceutico (o comunque terapeutico) e l’esigenza di dare assistenza medica e terapia al maggior numero possibile di persone e a costi accessibili. Come esiste un perenne conflitto fra la tendenza di scienziati, tecnici e imprese a tenere segrete le loro scoperte, invenzioni o soluzioni e l’ovvia esigenza, per lo sviluppo della scienza e della conoscenza, di condividere il più ampiamente possibile esperienze, esplorazioni e sperimentazioni.

Sarebbe presuntuoso, in questa breve nota, tentare di proporre soluzioni o anche solo di descrivere il problema in tutti i suoi aspetti. Ma mi sembra importante capire che il problema esiste e che deve essere risolto. La tendenza dominante, purtroppo, è fingere che non esista; e tentare disperatamente di difendere ed accrescere i privilegi di proprietà di diritti, esclusive e copyright anche quando sono in conflitto con l’interesse generale (vedi per esempio le polemiche sulla brevettabilità di modificazioni genetiche, cioè in sostanza di esseri viventi; che non sono nuove, ma hanno ripreso vigore recentemente a causa di imminenti delibere del parlamento europeo).

Siamo in un vicolo cieco. Non è facile capire come uscirne, ma una cosa mi sembra chiara: l’esasperata tendenza a difendere l’interesse di pochi contro il diritto di molti, e a tenere non disponibile ciò che dovrebbe essere di pubblico dominio, porta a conseguenze disastrose e a conflitti insanabili. Se non si troveranno soluzioni ragionevoli, questo può diventare uno dei problemi più gravi per tutta la comunità umana e può scatenare contrasti molto violenti.



Mi scuso per una premessa così generica, ma un approfondimento andrebbe molto al di là dello scopo di questo appunto. Mi sembrava necessario accennare al fatto che il problema si colloca in un quadro ampio e complesso. Vorrei ora concentrarmi su due aspetti specifici: il software e il diritto d’autore.

Una delle stranezze è che l’uso di software "senza licenza" sia considerato dal nostro ordinamento come un reato, o comunque qualcosa di perseguibile d’ufficio secondo la legge penale. Questa non è solo una mostruosità giuridica ma anche un’assurdità dal punto di vista della convivenza civile. Si tratta, tutt’al più, di una violazione di contratto: e quindi di un problema che andrebbe affrontato per quello che è, cioè un conflitto privato fra le parti. Le conseguenze sono tutt’altro che astratte, perché pochi anni fa (nel 1994) abbiamo assistito in Italia a massicce operazioni di polizia, il cosiddetto crackdown, che secondo un esperto in materia (Bruce Sterling) ha superato per dimensioni e violenza ogni altro caso del genere al mondo. A differenza di altri fenomeni solo apparentemente simili (come il crackdown americano del 1990) questa operazione non era basata su più o meno ipotetiche "intrusioni" in sistemi elettronici, o immaginarie minacce alla sicurezza pubblica, ma sulla ricerca di software non registrato. Per alcuni anni non si sono ripetute operazioni di quella massiccia ampiezza, ma recentemente sono ripartite indagini su scala forse ancora più larga; anche se, per fortuna, magistrati e "forze dell’ordine" sembrano aver imparato che si possono evitare i sequestri di computer e attrezzature (sempre inutili e illegali). Abbiamo visto l’associazione dei produttori di software minacciare pubblicamente di "manette" chi non si attiene ai loro contratti; e la Microsoft in prima persona diffondere annunci a pagine intere con la dichiarata intenzione di "togliere il sonno" a chi non segue le sue regole. (La mia risposta personale a queste minacce è semplice: "Non ho alcun timore di essere svegliato all’alba dalla polizia, perché ho avuto la malaugurata idea di acquistare regolarmente il vostro software: ma vorrei sapere come intendete risarcirmi del molto sonno perduto per il cattivo funzionamento dei vostri prodotti").

Qualche barlume di ragione sta emergendo. Ci sono sentenze di magistrati italiani (pretori a Cagliari e a Bologna) che hanno dichiarato non perseguibile, dal punto di vista penale, l’uso di software installato senza seguire le "regole di licenza" del produttore.

Insomma il problema dovrà trovare soluzioni anche formali e giuridiche. Ma intanto ci sono vie pratiche per arrivare a percorsi meno assurdi. Basterebbe che si infrangessero le posizioni di monopolio; e che si diffondessero la conoscenza e l’uso di soluzioni più efficienti e meno costose. Immaginiamo uno scenario in cui "copiare" software largamente diffuso sia diventato un diritto acquisito, di fatto se non de iure (una situazione da cui non siamo molto lontani); o che per ogni prodotto della marca X sia disponibile un prodotto, perfettamente compatibile, dalla marca Y (cosa che succede in quasi tutti i mercati, ma non in quello dell’elettronica). Che cosa succederebbe? Molto semplicemente, scenderebbero i prezzi. Il costo di un software largamente diffuso è "tendente a zero". I programmi-base potrebbero essere gratuiti, o venduti a prezzi così bassi da scoraggiare la duplicazione; e potrebbero essere offerte, a pagamento, soluzioni più complesse e (realmente utili) servizi di assistenza e aggiornamento a chi si "registra". (Prassi, del resto, già applicate da alcuni, non solo nel mondo del "shareware" ma anche nel caso di prodotti "commerciali"). In un quadro del genere i produttori di software potrebbero realizzare buoni profitti; solo che sarebbero costretti a guadagnarseli invece di usare magistrati e poliziotti come esattori (o approfittare di situazioni di egemonia per "imporre" i loro prodotti).

Nel campo editoriale, che cosa potrebbe succedere? Qualcosa di non molto diverso. Ci sono giornali e riviste che mettono online i loro contenuti poco dopo la pubblicazione "cartacea". Non mi risulta che questo abbia intaccato le loro vendite in edicola o i loro abbonamenti.

Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it

aprile 1998

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