Un articolo di Manlio Cammarata su
Interlex


L’internet, il bambino
e l’acqua sporca

 



Vorrei non scrivere nulla sull’uso diell’internet da parte dei pedofili, perché su questo argomento è stato scritto troppo. Ma siccome troppo non è stato scritto, e tra quello che è stato scritto ci sono troppe sciocchezze, sento il dovere di metter giù, un piccolo elenco di questioni sulle quali mi sembra necessario riflettere.

1.  La pedofilia è un problema vecchio quanto il mondo, che deve essere inquadrato in termini più precisi. In particolare si deve distinguere tra l’attenzione per i bambini (che, per quanto ne so, ha sempre suscitato disapprovazione) e quella per gli adolescenti, accettata in altre epoche e in altre società.

2.  Nel nostro mondo la pedofilia è, un tabù come l’incesto. Un tabù – semplificando – è un divieto di ordine morale, che è tanto più severo quanto pi%ugrave; forte è l’impulso a violarlo. Si tratta, naturalmente, di un impulso che risiede in quello che da Freud in poi chiamiamo“l’inconscio” e che solo in alcune persone emerge alla coscienza.

3.  Chi si sente spinto a comportamenti che sono considerati tabù, vive una profonda contraddizione tra i suoi desideri e i divieti che sono comunque presenti della sua psiche. Questa lacerazione può esprimersi in diversi modi, o non apparire, ma nella maggior parte dei casi è comunque fonte di sofferenza. Un pedofilo è molto spesso una persona che soffre, in altri casi è un individuo che, per la sua condizione sociale e culturale, non ha sviluppato la capacità di reagire ai propri impulsi.

4.  Essere pedofilo non è (o non dovrebbe essere, in uno Stato di diritto) un reato. La pedofilia, come qualsiasi altra inclinazione socialmente disapprovata, diventa reato quando danneggia un’altra persona. È giusto temere che le attenzioni sessuali di un adulto per un bambino comportino un danno per quest’ultimo, e non c’è dubbio che si tratti di una forma di violenza, dal momento che si rivolge a un soggetto fortemente influenzabile, perché non ha ancora maturato la capacità di valutare e di decidere. Dunque è corretto qualificare come reato ogni atto sessuale rivolto verso un minore.

5.  Dal momento che la pedofilia è tabù, e quindi desta riprovazione sociale, i pedofili tendono a nascondersi, a costituirsi in “società segrete” e a comunicare in codice o attraverso canali riservati.

6.  Altra cosa è lo sfruttamento sessuale dei minori a scopo di lucro. Qui siamo di fronte a un crimine orrendo, che desta un forte allarme sociale. Questo allarme si riflette, fra l’altro, nel suggestivo titolo della nostra recente legge anti pedofilia, con l’immagine colorita della “riduzione in schiavitù”. Il losco trafficante di bambini non dovrebbe essere confuso col pedofilo, ma purtroppo il colpevole sensazionalismo dei mezzi di informazione non aiuta la collettività a comprendere i termini del problema e le sue reali implicazioni.

A questo punto qualcuno potrebbe chiedermi che cosa c'entra tutto questo con l’internet, e perché mi sono dilungato in questioni che esulano dal campo di interessi di questa rivista. La risposta alla prima domanda è che l’internet non c’entra affatto. La risposta alla seconda è che altri hanno collegato arbitrariamente la rete e la pedofilia e che questo collegamento ha conseguenze devastanti per lo sviluppo della società dell’informazione. Dunque è opportuno che ce ne occupiamo in queste pagine. È vero che in alcuni casi i pedofili si servono dell’internet per comunicare tra loro e per adescare le loro vittime. Perché è un mezzo di comunicazione molto efficace e pratico. Però – come osserva Giancarlo Livraghi in Storia della crociata infame – l’internet si può controllare con troppa facilità, e quindi deve trattarsi di pedofili un po' sprovveduti.

È vero anche che a tanto impegno poliziesco (con i soliti sequestri incongruenti quanto dannosi) e a tanto clamore giornalistico corrisponde una realtà assai modesta: solo otto o dieci individui in Italia sospettati di aver violato la legge anti-pedofilia. Non bastano neanche a fare una quadra di calcio per un torneo parrocchiale. Ah, già... le parrocchie, i collegi, le scuole e i loro dintorni, i giardini pubblici. Scommetterei che in questo momento ci sono molti più, pedofili nei giardini di una sola grande città che su tutta l’internet.

Ma a nessuno viene in mente di creare, con titoli su cinque colonne, uno stretto collegamento tra i giardinetti e i traffici dei pedofili. Come a nessuno viene in mente di intentare un processo postumo al povero Meucci, per il fatto che i pedofili comunicano tra di loro anche per telefono (come si apprende dai risultati delle indagini). Il fatto è che al tabù della pedofilia si somma quella che chiamo “internetfobia”, cioè la paura diffusa di un mezzo pericoloso per chi non ha la capacità di intendere il nuovo e di volere il progresso, anche perché vede (più o meno confusamente) che si avvicina la fine del proprio potere.

Da questo connubio nascono le stravaganti ipotesi di reato e le preoccupanti proposte di selezione e censura dei contenuti, che hanno incominciato a produrre effetti negativi sulla libertà della rete, come dimostrerò in un prossimo articolo (per non parlare delle deliranti iniziative di improbabili giustizieri).

Esercitare qualche legittima forma di sorveglianza sui contenuti dell’internet e perseguire i soggetti che vi commettono reati, è giusto. Si deve buttar via l’acqua sporca dalla tinozza, facendo attenzione però a non buttar via anche il bambino appena lavato, come recita il vecchio adagio.

Ma ora stiamo veramente buttando via il bambino insieme all’acqua sporca. E qui il bambino è la rete, che nel nostro paese non riesce a diventare adulta anche a causa delle mistificazioni dei sempre attivissimi internet-fobici che lo popolano.


 

   
 
Manlio Cammarata
InterLex
  settembre 1998
 


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