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Il concetto improprio di “pirateria”
 
Allegato al comunicato ALCEI del 24 gennaio 2004
(estratto da In memoria di Peter Blake)



Come già detto altre volte... i pirati non sono solo una leggendaria memoria del passato. Esistono ancora oggi (e non solo in mari remoti). Non sono romantici e brillanti corsari, avventurosi capitani di ventura. Sono squallidi criminali, brutali assassini.

È ragionevole parlare di pirateria aerea quando attaccano un aeroplano invece di una nave o una barca. L’analogia può essere corretta anche quando assaltano a mano armata un mezzo di trasporto terrestre. Un’estensione un po’ azzardata, ma forse accettabile, è il caso di chi investe una persona in automobile e poi scappa invece di prestare soccorso. In ogni altro contesto usare termini come “pirata” o “pirateria” non è solo un osceno abuso lessicale (e un atroce insulto alle vittime dei veri pirati). È un imbroglio.

Non è il caso di giustificare il comportamento di chi entra abusivanemte in una rete o in una "banca dati" – sia che lo faccia per pura esibizione di capacità tecnica o per motivi meno confessabili. Ma, anche se quelle azioni sono riprovevoli, è insensato paragonarle alla pirateria.

Sarebbe ora di smettere, una volta per tutte, di chiamare “pirata” chi si trova ad avere un pezzo di musica, di spettacolo o di software per cui non ha pagato un’esosa licenza a qualche gigantesca impresa – o a un corrotto baraccone burocratico come la Siae. E sarebbe ora di eliminare la grottesca stortura giuridica per cui un’inadempienza in un contratto privato (spesso sostanzialmente illegittimo perchè abusivamente imposto e non correttamente negoziato) sia da perseguire penalmente come se fosse un omicidio. Questa è una delle tante situazioni in cui le norme internazionali sono molto discutibili e quelle italiane sono ancora peggio.





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