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Il ritorno del MinCulPop?

In un disegno di legge governativo
di nuovo pretesti e ambiguità
per mascherare la censura di Stato

Comunicato ALCEI del 19 ottobre 2007



Come era già accaduto con l’infausta legge 62/2001, di nuovo il disegno di legge governativo del 3 agosto 2007 sul “riassetto dell’editoria” ha la dichiarata intenzione di imporre oneri burocratici, economici e sanzionatori anche a libere e private manifestazioni del pensiero compiute via internet da “normali cittadini”.

Il testo predisposto dal governo è deliberatamente confuso e ambiguo. Se passasse in questa formulazione creerebbe confusione e incertezza sulla possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero pur non appartenendo alla categoria dei giornalisti e non essendo editori di testate di alcuna specie.

Non si capisce perché il governo voglia trattare da “giornalisti” anche coloro che non lo sono e che non vogliono esserlo – e per quale motivo abbia omesso di dire chiaramente che gli obblighi normativi di eventuale emanazione si applicano solo a chi esercita professionalmente o imprenditorialmente l’attività di produzione e diffusione di contenuti.

Se la preoccupazione è quella di sanzionare chi diffama, allora quella del governo è una non-soluzione: le leggi ci sono già, e chi pubblica online è perfettamente identificabile. Quindi questa non può essere la scusa per l’adozione di norme liberticide.

Il dato di fatto è che questo disegno di legge prefigura la creazione dell’ennesima “spada di Damocle” da utilizzare nei confronti di chi pubblica opinioni o informazioni “scomode”. In altri termini: se questo disegno di legge venisse approvato, ci sarebbe comunque un gran numero di persone che non lo rispetterebbe per svariate ragioni – non conoscenza della legge, legittima “disobbiedienza civile”, difficile interpretazione delle norme. Il risultato pratico sarebbe la creazione un “reato artificiale” da perseguire a seconda delle “necessità” o degli occasionali capricci di chi eserciterà questo potere.

C’è anche un danno per le imprese che usano la rete nonché per gli internet provider. Questo disegno di legge sferra un colpo durissimo ai servizi di hosting e a quelli basati sulle comunità e sulla libera pubblicazione di contenuti di ampia utilità. Perciò, oltre a contrastare l’universale diritto di informazione e di opinione, penalizza anche un modello economico che si sta dimostrando sempre diffusamente di utilità sociale.

Cosa vogliamo: si deve stabilire chiaramente che gli obblighi – se davvero necessari – valgano solo per editori, servizi stampa e, in generale, per i soli imprenditori dell’informazione, che operano a fini di lucro e ottengono sovvenzioni pubbliche, escludendo chiaramente qualsiasi pubblicazione di privati o associazioni no profit che non “vendono” alcunché.




Post scriptum – 26 ottobre 2007

Dopo la pubblicazione di questro comunicato – e in seguito a diffuse (e confuse) proteste – ci sono state dichiarazioni “rassicuranti” da parte del governo, che ha “ammesso l’errore” e ha promesso di correggere la proposta di legge.

Come accade spesso in questo genere di vicende, ciò non significa che il problema sia risolto. Sarà necessario seguire lo sviluppo di questa legge, se e quando percorrerà un iter parlamentare – e anche di altri provvedimenti e norme che possono avere effetti altrettanto preoccupanti.

Un anno dopo – 12 ottobre 2008

Sembra che di quel disegno di legge si siano perse le tracce, disperso o dimenticato nelle procedure parlamentari. Ma il problema rimane e gli abusi continuano, in base a leggi esistenti e a perverse interpretazioni, come dimostrato anche da esempi recenti.




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