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La coltivazione dell’internet

Recensione online su Consulteque
29 maggio 2000



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Internet o l’internet?
Quando un nome influenza l’economia

Avevamo sempre pensato che Internet fosse un nome proprio. Ma Giancarlo Livraghi, professionista nel campo dell’information technology e da anni studioso della network economy, svela il morfologico arcano (La coltivazione dell’internet, pubblicato a cura del Sole 24 ore).

Non è un nome proprio ma comune: l’internet, appunto. Come il telefono, la radio e la televisione. Hanno ragione gli anglofoni: da sempre lo chiamano "the internet". Non è solo una variazione di "morfé", forma: il modo di chiamare la rete (a questo punto meglio scriverla con la r minuscola) riflette secondo Livraghi il nostro modo di pensarla. Come fine a se stessa, non quale mezzo di comunicazione, informazione, cultura. Proprio in questo distorto modo di concepire l’internet sta per l’autore la scarsa efficacia di penetrazione di molte delle imprese, italiane ed estere, che oggi sempre più numerose aprono un sito.

La rete non è fatta di tecnologia, non è fatta di masse, né di dimensioni di mercato: è fatta di persone. Individui singoli, con esigenze e richieste specifiche e, soprattutto, irripetibili. Capire questo significa, per Livraghi, attuare una vera e propria "rivoluzione copernicana" nell’utilizzo di quello che ormai non possiamo non chiamare l’internet.

Tolemaica è la concezione della rete come centro intorno a cui ruotano masse e masse di consumatori. Copernicana la concezione dell’internet come ruotante intorno a individui che la usano per le proprie individualissime necessità. Un servizio dalle dimensioni enormi e dalle infinite specializzazioni.

Livraghi non crede, e questo è molto significativo, nella smaterializzazione del mondo fisico a causa della rete. Libri, compact disc, giornali di carta esisteranno ancora. A differenza di Rifkin, nella sua "Era dell’accesso", Livraghi non prevede il mercificarsi di ogni esperienza vitale, né lo svaporarsi della concretezza. Se l’internet è un mezzo e non un fine, non c’è alcun bisogno di ipotizzare simili morti.

Se l’internet è un mezzo e non un fine, occorre saperla usare. Circa il "come" l’autore è molto esplicito: imparando a comunicare con ogni cliente in modo differenziato. Se non si comprende questo, non si possiederà mai la chiave del successo nella rete.

Inutile e illusorio sperare di raggiungere milioni di utenti aprendo un sito. Non è impossibile, ma non è automatico. Gli utenti si raggiungono costruendo relazioni personalizzate e producendo non immagini ma contenuti, che non dovranno mai essere generici: sarà bene sempre partire da quanto già l’azienda, prima dell’apertura del sito, era in grado di offrire. In questo modo, non si correrà il rischio di pensare contenuti appositi per il sito web: semplicemente questi verranno trasferiti sul video, con esposizione il più possibile concisa e chiara.

Evitare che i messaggi siano fumosi e fumogeni è la prima regola: l’utente non è lì per noi, dobbiamo invogliarlo a restare. E a tornare. Una seconda norma, di validità perenne, è quella che tiene conto del fatto che i primi utenti del nostro sito saranno, e non potranno non essere, gli stessi che già acquistavano da noi prima della sua apertura. Inutile cercare di abbagliare chi non sa ancora che esistiamo, con immagini tanto rutilanti quanto inutili: occupiamoci prima di chi già ci conosce. Queste regole, solo in apparenza semplici e in realtà assai poco praticate, significano per Livraghi se non una garanzia di successo, una concreta aspettativa di successo. Segue una descrizione minuta delle relazioni personalizzate instaurate da una delle più grandi imprese della rete, Amazon, con i propri clienti. Che sono oltre dodici milioni: un augurio per tutti.





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