Nel mondo anglosassone corre abbastanza spesso una definizione che non è facile tradurre. A level playing field. Che cosa significa? Un campo perfettamente livellato e organizzato in modo che tutti i giocatori abbiano pari opportunità. Il concetto mi sembra importante e degno di qualche approfondimento. Può dar luogo ad analisi teoriche raffinate e complesse; può anche (cosa più interessante) consentire analisi specifiche sulla situazione di unimpresa, una persona o qualsiasi ente che operi nella realtà, con un rilevante miglioramento dellefficienza, della qualità e dei risultati. Cerco di riassumere il tema nel modo più semplice possibile con una piccola digressione filosofica che spero sia utile a inquadrare il ragionamento.
Questa è unutopia. Anche senza scomodare Platone, Tommaso Moro o Gottfried Leibniz... le utopie sono utili, perché un riferimento ideale aiuta a definire le strategie della realtà possibile e perché senza unaspirazione (per sua natura irraggiungibile anche senza scomodare Johann Fichte) non può esistere alcun progresso, né una condizione umana che non sia rassegnata e inconcludente.
Mi sembra giusto dare il valore che merita al concetto della rete come level playing field, perché concettualmente e strutturalmente lo è davvero; è concepita in modo da dare a tutti la stessa possibilità di comunicare, da rendere meno difficilmente valicabili le distanze, da offrire spazi più ampi anche a quelle imprese che non hanno unorganizzazione distribuita nel mondo. Insomma questa non è unutopia astratta e sognata, ma una linea di tendenza reale di cui si può concretamente tener conto nello sviluppo delle strategie dimpresa.
Ma nella realtà nessun playing field è mai level. Questo è possibile, entro certi limiti, in ambienti costruiti e controllati come il campo in cui si svolge una gara atletica o qualsiasi altra competizione sportiva. Ma nemmeno in quelle condizioni può essere perfetto. Una persona può avere prestazioni diverse da unaltra in relazione a fattori che non sono perfettamente controllabili. Il clima, lorario, il luogo, lo stato danimo degli spettatori... Neppure in un gioco apparentemente astratto, come gli scacchi, una partita è governata solo dalle sue regole e insensibile allambiente.
Quando parliamo di un ambiente naturale, cioè non costruito o controllato, come la società in cui viviamo o il mercato, la realtà non coincide mai con il modello teorico del campo livellato. Mi sembra che sia utile capire come e perché.
Le strategie per affrontare il non-level playing field in cui si opera rientrano, grosso modo, in due categorie.
Una è quella che possiamo chiamare la strategia di Caio Duilio. Il console romano vinse la battaglia di Milazzo (ma non la guerra) con un artificio tecnico che trasformava una battaglia navale in uno scontro terrestre, più adatto ai suoi opliti che agli agili marinai cartaginesi. Laltra sta nel non cercare di modificare il territorio ma scegliere il terreno per cui siamo più adatti; cioè competere dove abbiamo migliori possibilità di vincere.
Lelaborazione potrebbe essere molto complessa. Storia, antropologia, biologia, ecologia... sono tante le scienze che devono porsi questo problema e che possono aiutarci a capirlo (quindi ad avere qualche probabilità in più di risolverlo). Ma in pratica le cose sono molto più semplici.
Una strategia efficace è spesso una combinazione delle due cose. Ma la prima contiene qualche rischio. Non mi sembra necessario spiegare perché una forzatura dellambiente porta a rischi spesso imprevedibili; ciò che crediamo di aver livellato potrebbe nascondere sconquassi tanto più gravi quanto più abbiamo cercato di costringere un sistema a obbedire a regole artificiose.
Qualche anno fa, nelle grandi business school americane, si studiò la MBA syndrome: cioè la tendenza di persone formate nella scuola su modelli e simulazioni, ma prive di sufficiente esperienza pratica, a cercare di forzare il mercato per seguire un modello preconcetto anziché adattare la strategia alla realtà. Con risultati, spesso, disastrosi.
In questo modo si possono costruire pentole a pressione che esplodono in modo imprevedibile e violento. Gli esempi che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni sono così tanti e così evidenti che non mi sembra il caso di citarli. Più agevole, e meno rischioso, è scegliere il territorio più adatto alle nostre capacità e risorse.
Fin qui, il ragionamento è valido indipendentemente dal caso specifico della rete; perché il problema esiste da che mondo è mondo e indipendentemente dagli strumenti di comunicazione che usiamo. Ma non è un caso che di level playing field si parli a proposito dellinternet.
La rete è finalmente, non solo in generale ma nella pratica di tutti i giorni, il campo livellato, il terreno che offre a tutti parità di voce e di azione? Confesso che qualche anno fa ero caduto nellerrore di credere che la struttura aperta della rete potesse dare pari opportunità a tutti in modo quasi automatico. Devo dire con un certo dispiacere che, almeno finora, losservazione dei fatti non conferma lesistenza di un tale mondo perfetto. Ma unulteriore meditazione dice che questa non è una tragedia. Una molteplicità di campi disuguali può essere ricca di occasioni per tutti quanto lo sarebbe un ipotetico, unico campo livellato. Anzi... forse la diversità è una risorsa più importante di quanto possa essere un infinito (e noioso) altopiano monotonamente omogeneo.
La rete è un ambiente favorevole alle strategie della diversità. Cè una metafora che non mi piace perché non è di buon auspicio (mi ricorda le piccole corazzate tedesche nella seconda guerra mondiale e la loro meritata sconfitta). Ma è vero che i sistemi di comunicazione disponibili oggi, o che potremo sviluppare domani, offrono possibilità molto interessanti alle cosiddette multinazionali tascabili. Nella cultura come nelleconomia.
Non su tutti i terreni... anche nella rete ce ne sono alcuni che sono e saranno presidiati in modo quasi inattaccabile dalle grandi organizzazioni. Ma ce ne sono tanti in cui imprese di ogni dimensione dalle medie alle piccole possono operare con successo.
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